Raccontare l’horror nelle sue declinazioni più personali e culturali: è con questa mission che la quinta edizione di Monsters – Taranto Horror Film Festival, la manifestazione pugliese promossa dall’associazione Brigadoon, si presenta al suo pubblico, forte della novità rappresentata dal Concorso Internazionale dedicato a lungometraggi e cortometraggi. A essere esplorate infatti sono le cinematografie meno abusate del genere, come quella africana che in Gaia reinventa il monster movie apocalittico in chiave panica, come esperienza immersiva – quasi un Matango il mostro se lo avesse diretto il Peter Weir di Picnic ad Hanging Rock, suggerisce il direttore artistico Davide Di Giorgio. E poi zombie movie alla filippina (Day Zero di Joey De Guzman), mockumentary tailandesi (The Medium del redivivo Banjong Pisanthanakun) e serial killer ispirati alla cronaca reale, come quello del Macellaio di Mons nella cui ombra si situano i fatti di Megalomaniac, di Karim Ouelhaj. Coerentemente con questo discorso, anche le cinematografie anglosassoni sono esplorate da prospettive meno consuete: All Jacked Up and Full of Worms di Alex Phillips ha poco a che spartire con le produzioni hollywoodiane e rinnova invece la tradizione dell’horror underground americano, già reso grande dai Frank Henenlotter o William Lustig del caso, raccontando l’epopea disperatamente grottesca di giovani cultori dei vermi come nuova sostanza allucinogena. A lui si affianca A Life on the Farm, di Oscar Harding, che usa la forma del documentario per rendere conto degli home movies di un fattore inglese e il suo disarmante rapporto con la morte. (In apertura un’immagine tratta da Blacula di William Crain).
In quest’ottica, il focus dell’anno è dedicato al cinema della cultura nera americana, ai margini della blaxploitation e lungo una direttrice che ha portato ai moderni fasti di Jordan Peele e Nia Da Costa: Ganja & Hess di Bill Gunn, fosse uscito oggi, avrebbe tranquillamente trovato asilo in concorso, per il suo approccio non convenzionale al vampirismo come forma transculturale in cui si rispecchiano le iconografie del coevo new horror (il protagonista Duane Jones è il Ben de La notte dei morti viventi di Romero). Più noto forse Blacula, nato proprio in seno alla blaxploitation, ma poi sviluppatosi come classica rivisitazione del mito di Dracula, in chiave però anticoloniale e moderna. Più articolato l’omaggio a Candyman, primo villain di colore e autentico mostro-manifesto nel traghettare questo filone dal passato di Bernard Rose al presente della già citata Da Costa. Un’icona sicuramente da riscoprire e ricordare. Il cinema italiano risponde con l’omaggio al filmmaker milanese Fabio Salerno, scomparso prematuramente e che a cavallo degli anni Ottanta e Novanta aveva lasciato intravedere nuove direzioni per il genere, dalle inedite ambientazioni meneghine al tono in bilico fra omaggio divertito e cinefilo alla tradizione e nuove tendenze dai tratti malinconici di chi si sente fuori posto, perfetti per quella confusione che poi sarebbe stata esemplificata nella denominazione Generazione X. Dell’autore vengono proposti i due lungometraggi, Notte profonda (del 1991), presentato all’epoca a Bellaria e poi al Fantafestival, e l’inedito film a episodi L’altra dimensione, entrambi in versione restaurata grazie alla collaborazione con Oblivion Film, che sta preparando le uscite home video.
In questo percorso, l’analisi non solo delle opere, ma anche dei canali che hanno permesso all’horror di ramificarsi nell’immaginario globale, non trascura nemmeno la critica e le riviste, come Midi Minuit Fantastique, che nella Francia degli anni Sessanta diventò un punto di riferimento per il fantastico locale e internazionale, affrontando con passione le filmografie di Terence Fisher e Mario Bava. Soprattutto, però, la rivista divenne fulcro di una produzione di cortometraggi recuperati nell’ambito della recente ripubblicazione integrale della rivista stessa a opera del critico Nicolas Stanzick per le edizioni Rouge Profond. Il festival ne proporrà una significativa selezione, presentata dallo stesso Stanzick, in grado di gettar luce su un laboratorio del fantastico, all’interno del quale hanno trovato asilo esercizi del gotico, animazioni in silhouette, prefigurazioni degli immaginari fulciani e deviazioni fumettistiche e nell’erotismo più o meno spinto. Inizio e fine nel segno di una tradizione anch’essa aperta però a stimoli altri: La Cosa di John Carpenter (film di chiusura) è in fondo un perfetto film-manifesto del ricombinarsi delle forme, mentre Nosferatu il vampiro di F. W. Murnau resta un testo tanto antico quanto moderno per come prefigurò e elaborò l’avvento dei regimi e il dramma della pandemia da febbre spagnole, entrambi temi ancora d’attualità. Il film sarà rinnovato nella sonorizzazione live della contrabbassista Caterina Palazzi, che lo trasfigura nella sua performance artistica Zaleska, in ossequio ai percorsi sempre attenti a uscire fuori dai margini.