Il 16 agosto 1977 se ne andava Elvis Presley. Il culto per il re è rimasto intatto – anzi negli anni si è rafforzato, come ha raccontato Marzia Gandolfi in pellegrinaggio a Graceland. Sono tanti i canali TV che ricordano Elvis nel quarantesimo anniversario della scomparsa attraverso film (Retequattro il 16/8 trasmette Un uomo chiamato Charro, su Sky Cinema Classic doppio appuntamento con L’idolo di Acapulco e 3 fusti, 2 bambole e 1 tesoro) e documentari (su Rai Storia e Sky Arte HD). Noi gli rendiamo omaggio ripercorrendone la carriera cinematografica.
Non è al cinema che ha lasciato traccia della sua grandezza, ma sono comunque 31 le pellicole che Elvis Presley interpretò tra il 1956 e il 1969. Elvis approda al cinema sull’onda del planetario successo discografico e del culto che comincia a svilupparsi intorno alla sua figura con scene di isteria collettiva durante le sue esibizioni. I film sono costruiti in funzione dei brani di maggior successo del suo repertorio e spesso, infatti, ne portano il titolo. Esordisce nel 1956 (del 28 gennaio data la sua prima esibizione televisiva allo Stage Show di Tommy e Jimmy Dorsey per presentare il singolo “Heartbreak Hotel/ I Was The One”) con Love Me Tender (Fratelli rivali, di Robert D. Webb), ambientato all’epoca della guerra di Secessione in cui due fratelli si contendono la stessa donna (Debra Paget). L’anno successivo tocca a Loving You (Amami teneramente, di Hal Kanter), dove è un fattorino che viene scoperto e lanciato sul territorio nazionale da una coppia in crisi, e a Jailhouse Rock (Il delinquente del Rock’n Roll) di Richard Thorpe, considerata la sua migliore interpretazione in cui «regge bene il ruolo drammatico, pur riuscendo a mantenere la giusta grinta per alcune tra le sue canzoni più movimentate» (Mereghetti). Nel 1958 Michael Curtiz lo dirige in King Creole (La via del male), storia di redenzione attraverso la musica, tratta dal romanzo A Stone for Danny Fisher di Harold Robbins. Nel 1960, dopo la pausa di due anni dovuta al servizio militare, gira G.I. Blues (Cafè Europa, di Norman Taurog), film finanziato dall’esercito e totalmente incentrato sui numeri musicali del cantante e Flaming Star (Stella di fuoco, di Don Siegel), pellicola di denuncia (al centro il matrimonio tra un bianco e un’indiana e quindi la questione razziale), in cui Elvis canta poco e delude i fan. L’anno successivo in Hard Country (Paese selvaggio, di Philip Dunne) torna a interpretare il ruolo a lui più congeniale del ribelle conteso da tre donne, mentre in Blue Hawaii, ancora di Taurog, torna a casa dalla madre (Angela Lansbury), dopo il servizio militare, e si improvvisa guida turistica, trovando anche l’amore. Questa diventa la formula magica dei film di Elvis: una commedia leggera, in cui il protagonista deve trovare il suo posto nel mondo e conquistare la ragazza dei sogni, in luoghi da favola e con canzoni realizzate all’uopo. Il 1962 è l’anno di Follow That Dream (Lo sceriffo scalzo, di Gordon Douglas), commediola sul sogno americano, di Kid Galahad (Pugno proibito, di Phil Karlson), remake musicale di L’uomo di bronzo di Michael Curtiz in cui Presley diventa pugile e di Girls! Girls! Girls! (Cento ragazze e un marinaio, di Taurog), in cui essendo senza soldi, canta per acquistare un peschereccio, poi trova una ragazza ricca e risolve tutti i suoi problemi. L’anno successivo gira It Happened at the World’s Fair (Bionde, rosse, brune…, ancora di Taurog) in cui è conteso dalle donne e Fun in Acapulco (L’idolo di Acapulco, di Richard Thorpe), in cui è un ex trapezista che soffre di vertigini e si ricicla come cantante e bagnino ad Acapulco dove conquista la bella Ursula Andress. Il 1964 è l’anno di Kissin’ Cousins (Il monte di Venere, di Gene Nelson), film girato in due settimane e che ebbe un enorme successo, in cui si sistema sposando la ragazza giusta. Sempre nello stesso anno John Rich dirige Elvis in Roustabout (Il cantante del Luna Park), in cui, dopo essere stato cacciato dal locale in cui si esibiva, trova lavoro in un luna park in decadenza gestito da Barbara Stanwych e ne risolleva le sorti, mentre George Sidney lo dirige in Viva Las Vegas, la sua migliore commedia con bei numeri musicali, in cui interpreta un pilota che arriva nella capitale del gioco d’azzardo in cerca di soldi, ma trova l’amore (Ann-Margret). Siamo nel 1965 ed Elvis trasforma in oro tutto quello che tocca. Gira tre film all’anno, senza curarsi troppo della qualità. È una macchina per fare soldi e il pubblico va al cinema per vedere lui, anche perché ha smesso di esibirsi in pubblico e lo si può vedere solo sul grande schermo. La trama è sempre la stessa (come capirono all’epoca i traduttori dei titoli in italiano). In Girl Happy (Pazzo per le donne, di Boris Sagal) deve sorvegliare l’esuberante figlia (Shelley Fabares) del proprietario di un night club; in Tickle Me (Per un pugno di donne, di Taurog) è il cowboy canterino, attrazione di un ranch per turisti che aiuta una collega a recuperare un tesoro di famiglia; in Harum Sacrum (Avventura in Oriente, di Gene Nelson) si concede un’improbabile avventura esotica in cui viene rapito per la sua abilità nel karate; in Frankie e Johnny di Frederick De Cordova, è circondato da fanciulle adoranti su uno show-boat in viaggio lungo il Mississippi; in Spinout (Voglio sposarle tutte, del sodale Taurog) non sa quale scegliere tra tre pretendenti; in Paradise, Hawaiian Style (Paradiso hawaiano, di Michael Moore, 1966) è un pilota che vorrebbe istituire un collegamento con le isole Hawaii. Sarà ancora Taurog a dirigerlo, nel 1967, in Double Trouble (Fermi tutti, cominciamo daccapo!), pasticciato giallo su un cantante in tour in Europa, inseguito dalla fidanzata che qualcuno vuole uccidere mentre in Easy Come, Easy Go (3 fusti 2 bambole e… 1 tesoro, di John Rich), interpreta un tenente di marina che scopre un relitto in fondo al mare, ma diventerà ricco come cantante di night.
Il meccanismo inizia a mostrare la corda, si capisce anche dal numero di canzoni sempre più elevato, in alcuni film sono anche 11-12, e non viene risollevato da Clambake (Miliardario… ma bagnino, di Arthur H. Nadel), in cui il ricco erede conquista una fanciulla non grazie ai suoi soldi, ma alle sue abilità in mare. Il pubblico è diventato più esigente e inizia a voltargli le spalle, le sue canzoni non vendono più come un tempo. Nel 1968 escono altre tre commedie, due dirette da Taurog, Speedway (A tutto gas), ambientato nel mondo delle corse automobilistiche, in cui recita accanto a Nancy Sinatra, Live a Little, Love a Little, in cui è un fotografo e Stay Away Joe di Peter Tewskbury, in cui è un campione di rodeo. Lo stesso nel 1969: Charro! (Un uomo chiamato charro, di Charles Marquis Warren), ambientato durante la rivoluzione messicana, The Trouble with Girls di Tewksbury, in cui è manager in una piccola città di provincia e Change of Habit di William Graham, in cui fa il medico in un ghetto. Ma è arrivato il momento di chiudere con Hollywood. Elvis ha capito che la sua stella cinematografica si è offuscata, per questo è tornato in Tv il 3 dicembre 1968, sulla NBC, con Elvis ’68: Comeback Special, il programma che mette d’accordo critica e pubblico e che segna il suo ritorno sulla scena musicale. Il re si è ripreso il suo trono.