«Mi piacciono le soglie, perché è lì che succedono le cose»: si illumina Laura Samani quando esplora il punto focale della sua produzione. Ospite della 25ma edizione dello ShorTS International Film Festival di Trieste, risponde con pacatezza alle domande di Beatrice Fiorentino e Massimo Causo, che hanno curato l’omaggio a lei dedicato nella sezione Campolungo, incentrata sui giovani ma già affermati tra esordio e cortometraggi. Si evidenzia immediatamente un certo garbo e una qual ritrosia nell’attribuirsi troppi meriti per ciò che pure i suoi lavori – due corti e l’acclamato lungometraggio Piccolo corpo del 2021 – hanno inequivocabilmente dimostrato. Eppure è lì, nelle soglie che descrivono delle distanze, degli intervalli, che il suo cuore inevitabilmente prende a battere più forte.
È una soglia fra la vita e la morte, ad esempio, quella che deve attraversare Agata per dare un nome alla figlia nel film d’esordio. La sua esistenza è infatti bloccata nella ripetitività di una vita tra i pescatori friulani, scandita dai riti del lavoro e dal dovere della sopravvivenza e del dare continuità alla specie. Tanto che quando la gravidanza non genera la vita, ma un “piccolo corpo” grigio, la comunità non si scompone: “ne farai altre” le dicono, ma a lei interessa proprio quella creatura, rimasta imprigionata nel Limbo. Il viaggio per raggiungere il santuario in grado di ridare solo per un attimo vita al corpicino, in modo da poterlo battezzare, è dunque un gesto di ribellione in grado di aprire un percorso di ridefinizione di sé, in cerca di quella soglia da attraversare per ottenere una salvezza, un’autentica apertura alla vita per lei e sua figlia. D’altra parte, ancora nel dibattito, Laura Samani lo ribadisce, il cinema che le preme è quello di «creazione come momento di collettività» e dunque l’azione singola non può essere mai individuale, ma contempla invece una ricaduta su più personaggi. (in apertura una immagine di Piccolo corpo).
Il passaggio del testimone che si verrà così a creare fra Agata che sfida le distanze, la fatica e gli elementi pur di dare un nome alla figlia e la nomade Lince, che al suo di nome ha rinunciato, è simbolico e significativo. Il lavoro ribadisce la forza di legami artistici, umani e professionali che si sono stabiliti nel tempo, come quello con la produttrice Nadia Trevisan o con gli sceneggiatori Marco Borromei e Elisa Dondi, che ritroviamo a vario titolo negli altri due lavori brevi riproposti a Trieste, utili per definire la poetica dell’autrice: La santa che dorme, del 2016, è il corto di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia e già ci si ritrovano tutte le sue ossessioni. Il senso del sacro, innanzitutto, così come quello dei legami recisi, nel cui vuoto ritrovare il senso di sé. La giovane Giacomina è stata scelta quale nuova custode della statua di Santa Achillea per l’annuale processione. Un compito cui anelava però l’amica Silene, che così si rinchiude nel sarcofago della santa e come lei diventa un corpo sospeso, morto ma sempre caldo, ancora una volta sulla soglia tra due dimensioni. Così, chi ha ricevuto il compito rituale cerca di liberarsene per aprirsi alla vita: Giacomina brama le prime mestruazioni che la renderebbero “sporca” e le permetterebbero di abdicare all’impegno verso la Chiesa, un nuovo gesto di ribellione. Al contrario, Silene che si è vista rifiutata si rinchiude nella morte e ricalca il percorso della santa. La risoluzione non può che avvenire per una nuova impresa che cerchi di rompere la dicotomia e, al contempo, rinsaldare il legame di reciproca responsabilità fra le due amiche.
Sono visioni che in tal senso veicolano una femminilità resistente a una più schiacciante prospettiva storica e sociale. La Samani evoca una definizione di Gramsci e spiega: «mi interessa il folklore come forma di resistenza che si fa controproposta dell’esistente». Per questo nei suoi film si evidenza una sorta di realismo magico, una componente ancestrale che è lo sfondo per queste battaglie identitarie raccontate con grande senso dell’immanenza. D’altra parte non ci può essere realtà senza un confronto diretto con la memoria. Ecco perciò che anche un lavoro sull’archivio può diventare naturalmente un progetto personale: L’estate è finita – Appunti su Furio, è il corto più recente dell’autrice, realizzato nel 2023 sfruttando gli home movies depositati e digitalizzati presso la Cineteca del Friuli. Su un montaggio di vari momenti che catturano esperienze adolescenziali estive, Laura Samani costruisce un racconto estrapolando i pensieri dei suoi diari di gioventù. Età di soglie per eccellenza, descritta attraverso gli incontri periodici con Furio, dall’amicizia infantile, alla passione adolescenziale, alla separazione della maturità. Un altro viaggio per il proprio sé, costruito come patto di reciprocità con chi ha fornito le immagini, ignaro che avrebbero dato vita a una nuova storia. Il fatto singolo che diventa esperienza di assemblaggio di più vite. Tanti corpi catturati per un attimo e sospesi nell’intimità di un ricordo. La prossima tappa è il secondo lungo, un annunciato “romanzo di formazione”, che certamente saprà ampliare un discorso apparso coerente nelle tematiche e potente nella resa espressiva. Lo attendiamo con ansia.