Quando The Hollywood Reporter ha chiesto a Denis Villeneuve di scrivere un ricordo Jean-Marc Vallée, appena scomparso per un infarto, Villeneuve ha ricordato commosso che il rapporto che li legava non era quello tra due amici stretti, ma piuttosto tra due «fratelli competitivi, in lotta per l’attenzione della madre: la Santa Provincia del Quebec». Ma la cosa che colpisce di più di quel necrologio è la precisione con la quale Villeneuve riesce a sintetizzare meglio di qualunque giornalista o critico l’essenza del cinema di Vallée: «Jean-Marc ha amato l’umanità dolente, concentrandosi su quel punto focale nascosto e interiore di dolore, vergogna e afflizione. Ha amato l’umanità, non cercandone la redenzione né l’evoluzione, ma abbracciandone la condizione. Più specificamente, era profondamente commosso dalle anime torturate, abbandonate, emarginate. Quelli che portano la croce dell’essere diversi nelle società in cui essere diversi è ancora una piaga. Il suo cinema è nato dall’oro grezzo e puro dell’umanità». Libero ed eccentrico, refrattario a farsi ingabbiare dalle logiche del cinema hollywoodiano, come spesso succede ai veri autori, quelli la cui autorialità diviene una cifra autoevidente e progressivamente compiuta, Vallée ha incentrato tutta la sua produzione cinematografica e televisiva sull’universo polimorfo della famiglia: «Famiglia allargata. Famiglia ricostruita. Famiglia distrutta. Famiglia esplosa. Famiglia polverizzata. La tortura della famiglia. Le rovine della famiglia. La rinascita della famiglia. Il legame familiare. L’amore familiare».
Questa «matrice fondamentale del disorientamento e delle glorie umane» è ben visibile nelle vicende di Zachary Beaulieu (C.R.A.Z.Y., 2005), della giovane Regina Vittoria (The Young Victoria, 2009), di Jacqueline, Laurent e Véro (Café de Flore, 2011), di Cheryl Strayed (Wild, 2014), di Davis Mitchell (Demolition – Amare e vivere, 2015), di Celeste, Jane e Madeline (Big Little Lies – Piccole grandi bugie, HBO 2017-19) e di Camille Preaker (Sharp Objects, HBO 2018). Ma forse il film dove più di tutti l’umanità dolente cara a Vallée si manifesta, tanto più potente in quanto le sue relazioni disperate ma piene di amore nascono proprio in un mondo in cui la famiglia è stata completamente azzerata da egoismi, rifiuti e pregiudizi, è Dallas Buyers Club (2013), in cui i reietti Ron e Rayon diventano idealmente padre e madre di una serie interminabile di figli disperati e bisognosi di cure contro l’AIDS. In questo film diviene cristallino come nell’opera di Vallée, ce lo dice un’ultima volta Villeneuve, «tutto ruotava intorno all’amore, alla fede, alla musica, alla passione e all’insopportabile solitudine degli esseri. Era un genio nel cuore e il suo cuore era una supernova».