38 Bolzano Film Festival Bozen – The Settlement di Mohamed Rashad e la disperazione operaia

Dopo due cortometraggi e il lungometraggio documentario Little Eagles (2016), il regista egiziano Mohamed Rashad ha realizzato la sua opera prima di finzione The Settlement (in concorso al Bolzano Film Festival Bozen). Girato ad Alessandria, città natale di Rashad, The Settlement è un film che, nel segno del realismo, ci immerge in un vissuto periferico, proletario, polveroso per narrare quanto accade a una famiglia la cui moglie è rimasta vedova e i due figli privati del padre – l’uomo è morto sul lavoro nell’acciaieria dove faceva l’operaio. Un incidente, dicono i capi. La responsabilità diretta di qualcuno che cerca di insabbiare il caso, in realtà. Come compensazione, gesto (ricatto) per evitare indagini, il figlio maggiore Hossam, 23 anni, viene assunto al posto del padre. Mentre il fratello Maro, dodicenne, insiste per accompagnarlo abbandonando la scuola e frequentando la fabbrica nonostante l’ambiente non sia per niente adatto a lui. Ma nessuno obietta. A partire da queste coordinate narrative, Rashid costruisce un testo che si sposta fra due ambienti dominanti, entrambi indicativi di un senso di palpabile oppressione e inquietudine: l’appartamento povero dove vivono Hossam, Maro e la madre che ha problemi alle gambe, in una zona fatiscente circondata da terra arida, e la fabbrica, altrettanto fatiscente, ben resa da uno sguardo che si sofferma sui corpi tanto al lavoro, fra macchinari e ingranaggi obsoleti che possono facilmente provocare traumi, quanto nei momenti di pausa, in mensa o nei dintorni. Una routine quotidiana all’interno della quale si manifestano spesso tensioni fra gli operai e che viene esposta anche filmando le tappe intermedie, il consueto viaggio in pullman da casa alla fabbrica, l’entrata e l’uscita degli operai e delle operaie.

 

 
Ed è in questa routine che Rashid inserisce un elemento “estraneo”, inizialmente misterioso, portatore di una possibile deviazione dal percorso principale, che invece si interromperà (ma il dubbio permane) a fronte di un drammatico evento. L’elemento “estraneo” è rappresentato dall’entrata in scena di Abeer, giovane donna che lavora nell’acciaieria e comincia a telefonare a Hossam, ma non rivelandosi. Quando i due si incontreranno, avendo nel frattempo Hossam scoperto di chi si tratta, nascerà un’intesa, ma frammentata dai tempi e dai controlli della fabbrica eppure, nella sua brevità, fonte di complicità, forse desiderio, necessità di uscire da solitudini – che ha nella scena dell’abbraccio, filmato in campo lungo, prima dell’inizio dei turni, tra le macchine e senza nessuno in giro, non solo il momento più alto della loro “relazione”, ma anche una delle immagini più belle di tutto il film. Dovrà scappare, Hossam. Non tanto per i traffici, anche di droga, che continua a fare e che potrebbero ri-metterlo nei guai, quanto perché la tensione all’interno della fabbrica lo porterà a compiere la sua vendetta provocando la morte dell’ingegnere che si occupa della sicurezza e che ebbe un ruolo nella scomparsa del padre. Via da lì, nella notte, con l’aiuto di amici, per rifugiarsi tra “il popolo della Montagna” che conosce bene. Abeer e Hossam si sentono un’ultima (?) volta. A casa rimarranno la madre e il fratello. Il finale di The Settlement è aperto. Un film che – con qualche scarto diegetico un po’ maldestro, una luce dove prevalgono i cromatismi grigi, quasi senza musica – rende con onestà il clima di un vivere che pare non offrire vie d’uscita.