This Is My Film: 76 Minutes and 15 Seconds with Kiarostami, e i corti 24 Frames e Take Me Home sono I tre titoli che hanno rappresentato l’omaggio ad Abbas Kiarostami della Mostra di Venezia. Nel primo caso si tratta di un vero e proprio ritratto del regista iraniano colto in diversi momenti del suo lavoro, sul set o alla ricerca di immagini da trasformare in fotografie. Un film di montaggio realizzato da Seifollah Samadian, amico e storico collaboratore di Kiarostami, in cui il maestro iraniano appare nella sua più intima essenza, cercatore di immagini, appunto, osservatore attento del paesaggio dove ambientare i suoi film, i dettagli della luce, i particolari delle nuvole, l’ombra di un albero o la linea curva disegnata da una collina. Un percorso fluido che attraversa molti anni e restituisceun’idea di cinema lieve e profonda, capace di riassumere in poco tempo itrattidistintivi di un cineasta e deisuoi film. L’obiettivo centrale di questo documentario atipico era, nelle intenzioni dell’autore, di condividere con lo spettatore 76 minuti e 15 secondi di momenti sconosciuti della vita e dell’opera di Kiarostami in memoria dei suoi 76 anni e 15 giorni di viaggio creativo attraverso la vita. Seifollah Samadian ha fatto una scelta difficile a partire dalle centinaia di ore filmate accanto all’amico nei 25 anni della loro amicizia e collaborazione, dentro e fuori dai confini dell’Iran, nelle occasioni più diverse, festival, mostre fotografiche, eventi, workshops e istanti irripetibili di vita quotidiana. Da queste immagini traspare la passione di Kiarostami per il suo lavoro e la continua, instancabile ricerca formale, che ne faceva uno dei più grandi registi e fotografi di sempre.
Piccoli gioielli di semplicità e perfezione sono i due cortometraggi, nei quali l’immagine viene mostrata nel suo aspetto più misterioso, a partire dalla possibilità di essere manipolata per mettere in evidenza dettagli altrimenti trascurati dall’occhio. E così, in Take Me Home si osserva il gioco divertito di una palla che precipita dalle scale di un antico paese del sud Italia. Ipnotico e irregolare, a suo modo anche beffardo, questo film testimonia la modernità di un regista che cerca il nuovo all’interno di un contesto (pratico e teorico) più che mai tradizionale: il bianco e nero rielaborato per confondere la prospettiva, il suono accentuato per sottrarre l’impressione di realtà, la ripetizione per ricordare che il cinema e la vita sono ripetizioni di istanti anche impercettibili. Viene in mente Le ballon rouge di Albert Lamorisse, ma anche i primi corti di Kiarostami, arrricchiti, qui da una maggiore consapevolezza formale e dal desiderio di applicare al cinema certi stratagemmi squisitamente fotografici. Lo stesso discorso vale per il più rarefatto 24 Frames (One Frame Only), che rappresenta un frammento dell’ultimo progetto cui Kiarostami stava lavorando, una serie di cortometraggi brevissimi realizzati a partire da cinque dipinti e diciannove fotografie che, grazie all’uso della tecnica del blue-screen sembrano animarsi e acquistare una profondità temporale grazie alla durata stessa del cinema.