Così come nel precedente Quello che non sai di me, anche Charlotte, una di noi, intende esplorare l’area di un disagio esistenziale. Se nel film del 2019 era il disagio dell’immigrazione ad essere osservato e raccontato, qui il cinema di Colla si focalizza sul disagio di Charlotte, assoluta protagonista. In questa storia così volutamente minima, quasi diaristica, si attraversa il “disagio mentale” in quella lettura necessariamente virgolettata per una sua corretta accezione, tanto la protagonista vive la consapevolezza della propria condizione e quanto questo costituisca ulteriore ostacolo alla sua autodeterminazione. Charlotte, che soffre di schizofrenia, vive con il padre alcolizzato e sofferente di cuore in Trentino. I rapporti con il genitore sono pessimi e anche il fratello che vive in Svizzera nutre sentimenti di forte risentimento contro il padre. Quando questi muore Charlotte andrà ad abitare con il fratello in Svizzera. Ma lentamente la sua caparbia volontà le farà conquistare ogni autodeterminazione su sé stessa. Rolando Colla lavora con pazienza sul difficile personaggio di Charlotte, una ottima Linda Olsansky che partecipa anche alla scrittura del film, così perduta nel suo mondo favolistico, tra i suoi personaggi immaginari fatti di cartapesta che dissemina nel bosco, e nel suo rapporto naturale con gli animali, galline e tartarughe specialmente. Un pedinamento assoluto per entrare nel mondo fantasioso, ma anche dolente di Charlotte, che non resta avulsa da ciò che accade e comprende i propri limiti ma anche le proprie potenzialità e tra queste la possibilità di vivere da sola dopo la scomparsa del padre nella casa fattoria che l’ha vista crescere e attorno alla quale vive il proprio mondo immaginario.
Colla indaga e accerta la condizione di Charlotte con un infinito pedinamento, uno scandaglio che può apparire vuoto o immobilità narrativa, trasformandosi, invece, in progressiva affermazione del personaggio, anche in quel conflitto sordo con il fratello nel suo alternante comportamento verso Charlotte, diviso tra un affetto forse profondo e non dimostrato e un meschino interesse economico nel quale la sorella semi incapace potrebbe diventare la soluzione ai propri problemi di denaro. Il diario cinematografico di Colla e della sua Charlotte ci porta a ricostruire una possibile via di fuga per un adattamento, dentro una ipotetica normalità, della malattia mentale, nell’anno in cui celebriamo il centenario della nascita di Franco Basaglia. Charlotte può diventare una di noi con ogni limite e ogni possibilità che possa essere riconoscibile nella auspicata regolarità di gesti e comportamenti. Ma piuttosto – e qui il film di Rolando Colla sa guardare con la dovuta attenzione – il tema è quello della corretta relazione con un mondo parallelo che non è deviazione pericolosa da quella realtà vivente che ci portiamo dietro, quanto ulteriore possibilità di salvezza, vera ancora di salvataggio davanti ad ogni male del quotidiano. Charlotte ci insegna con il suo fare infantile, ma centrato su ogni situazione che il mondo (ir)razionale che la circonda, le ombre, gli animali, i suoi pupazzi viventi di cartapesta con un nome preciso per ognuno e una storia che sicuramente per ciascuno di essi vive nella testa della loro creatrice, diventa lo specchio di Alice da attraversare per scoprire piccole meraviglie che il reale soffocante e quotidiano ci nega e ci preclude. È questa l’autodeterminazione di Charlotte, riaffermare il proprio mondo nella pari dignità di quello che altri hanno costruito per lei e nel quale lei vive per accettazione del contratto sociale, ma dal quale si sente a volte rifiutata, rifugiandosi in quella dimensione che non conosce differenze.