Non è un compito semplice quello che si appresta a eseguire Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn di Cathy Yan (da qui in avanti solo Birds of Prey). Dopo lo stratosferico successo di Joker (2019), infatti, la Warner Bros. dà alla luce un nuovo cinecomic attingendo dal medesimo universo narrativo (non solo le nuvole della DC Comics ma addirittura la stessa città in cui sono ambientate le avventure dell’antagonista di Batman, nonché compagno sentimentale della qui presente Harley Quinn) sapendo benissimo di non poter replicarne gli incassi ma volendo comunque provare a mettere una toppa sul flop di qualche anno fa da cui tutto aveva preso piede, Suicide Squad (2016). Da lì infatti, si è provato a salvare il salvabile puntando tutto sul personaggio più apprezzato del gruppo, l’eccentrica e mentalmente instabile fidanzata di Joker interpretata da Margot Robbie. Dall’esperienza del film di Todd Phillips invece, Birds of Prey sembra voler far tesoro per cercare di proporsi come un oggetto decisamente diverso, quasi complementare. Dimentichiamoci allora la forte aura realista, urbana, scorsesiana del film vincitore del Leone d’Oro e prepariamoci a fare i conti con un progetto che non teme di mettere in mostra la sua matrice originaria più sincera e genuina, quella dei fumetti. Birds of Prey non ha nessuna pretesa se non quella di provare a divertire il pubblico e abbracciare lo sguardo dei fan con un’avventura che rasenta il grado zero della narrazione (quanti stereotipi, quante banalità) ma che si presenta, sin dalla primissima sequenza, come un grande carro di carnevale, colorato, pirotecnico, cartoonesco.
Harley Quinn non ha peli sulla lingua, segue il suo istinto e conduce un’esistenza basata su ciò che ha voglia o meno di fare. Insomma, si diverte. Birds of Prey rispecchia in pieno la sua anima. Si spoglia delle componenti più pedanti che negli ultimi anni (da Nolan agli Avengers) hanno provato a innalzare il genere per tornare ad abbracciare uno sguardo più fantasmagorico, appunto. Non è un caso quindi che il film si apra con una sequenza animata che ricorda uno storyboard e, di conseguenza, le tavole di un albo a fumetti. Da quei colori, da quelle onomatopee, da quella bidimensionalità prende vita il tutto e di questi elementi si nutre. L’inizio è una sorta di biglietto da visita, di manifesto di quello che verrà. Per circa due ore saremo inondati da colori, sequenze coreografiche vivaci ma allo stesso tempo goffe, armi giocattolo, esplosioni di coriandoli e via dicendo. Birds of Prey guarda ai fumetti e ai cartoons (tra l’altro i Looney Tunes sono espressamente citati) recintando l’autorialità contemporanea solo a una “rivincita” femminista presente sia nel plot narrativo che nella genesi del film (scritto, diretto, prodotto da donne). Se poi tutto questo sia effettivamente sufficiente per farsi apprezzare, tocca ai singoli spettatori valutare.