Sono sempre, a modo loro, storie di famiglia quelle scelte da Scott Cooper nei suoi film (Crazy Heart e Il fuoco della vendetta). Famiglie da proteggere, legami che tolgono l’aria, vincoli brucianti di cui tenere conto. Lo stesso discorso vale per quest’ultimo Black Mass (in Italia uscirà con il titolo L’ultimo Gangster), che si radica nel genere e porta tutto alle estreme conseguenze, compresa la scelta preliminare di tonalità, costumi, scenografie classiche del gangster movie anni Settanta. Punto di partenza troppo forte per non rimanere invischiati nei cliché che non avremmo voluto vedere e che precipitano questa storia intrigante in un vicolo cieco.
Basato sulla storia della scellerata alleanza tra FBI e il criminale di origine irlandese James Bulger, che avrebbe dovuto aiutare le forze dell’ordine a eliminare la mafia italiana da Boston (cosa che accadde) ma che offrì anche la giusta occasione a Jimmy (un trasformista Johnny Depp) per eludere ogni tipo di controllo e diventare in poco tempo il gangster più temuto e potente della città e non solo. Ancora intrighi e scandali, dunque, come mai così spesso nel cinema statunitense degli ultimi tempi, indagini, denunce, verità svelate amaramente. Solo che qui il cinema ha un peso maggiore, nel senso che non si può non pensare a Mystic River, Gone Baby Gone e a tutti i film ambientati a South Boston, il quartiere che sembra una città a se stante, un microcosmo regolato dai legami che ci si è creati giocando per strada da ragazzi. Famiglie vere e acquisite, patti non scritti che influenzano ogni decisione. Il passato che annulla le regole. Se ne fa continuamente riferimento nei dialoghi, in questa vicenda che unisce i tre personaggi centrali, il criminale, temuto e amato, suo fratello, senatore tra i più potenti dello stato e un agente speciale dell’FBI. Una storia semplice, violenta e cupa, nonostante tutto sia ben chiaro fin dall’inizio. E qui, probabilmente, si annida il problema di un film che non sa evolversi. Tradizionale al punto da non riuscire a creare un divenire. Non basta che il potere nelle mani dei tre amici aumenti e crescano i privilegi, perché a mancare è un’indagine dallo sguardo che scavi nel profondo e cerchi di mostrare quello che non si vede o non si dice. In questo senso Black Mass avrebbe potuto essere un film pieno di sfaccettature, invece di seguire semplicemente la forza di una storia che da sola non può bastare a farne qualcosa di originale e soprattutto personale. A differenza dei film precedenti, qui si accumula troppa distanza tra chi guarda e il personaggio di Jimmy, tutto chiuso nel suo mondo di codici d’onore e ambizione criminale. Poca la tensione e assente l’idea di una vita vissuta in un continuo contrasto: tra bene e male, tra contraddizioni ideologiche (l’impresa da parte di Bulger finanziare l’Ira è sommariamente accennata) e desiderio di potere. L’ascesa e il declino di un uomo ci scorrono sotto gli occhi freddamente, come se nulla fosse destinato a restare tra i vicoli immutabili di South Boston.