C’è il corpo solido, nel cinema di Bertrand Bonello, e c’è il corpo ideale. Qualcosa di organico e qualcosa di immateriale. Le due cose hanno sempre a che fare, in qualche modo, con la volontà: un misto di paura e desiderio, di ordine e anarchia, come ci dice De la guerre ma anche Nocturama, e prima ancora già Tiresia… Ora c’è Zombi Child (alla Quinzaine di Cannes 72), che sulla linea di transizione del disordine si colloca perfettamente, perché prende la letteratura legata al morto che cammina nella sua accezione antropologica, nella sua matrice haitiana connessa alla ritualità vudù, e la instilla nell’istituto sociale (occidentale, rappresentato da un collegio francese per figli di cavalieri della Legion d’Onore) per spingerlo sottotraccia, nella coscienza del nostro mondo. Restituendolo al contempo alla traccia simbolica che lo lega al tema della sottomissione, del dominio, del controllo e dello sfruttamento, in una parola alla questione del colonialismo (ovviamente identitaria per la Francia imperiale)…D’accordo, detta così risulta complicata, sembra quasi che Bonello abbia confezionato un film saggio, laddove Zombi Child è in realtà un finto horror, che fa ritrovare lo zombi haitiano (quello senza la e) nello zombie riformulato dalla tradizione occidentale, quella che si spinge da Turneur a Kirkman, passando per il caposaldo romeriano e per la contromatrice craveniana. Il serpente e l’arcobaleno, anzi, ne è il trait d’union più concreto, dal momento che, nella sua struttura a doppio corpo narrativo (uno ambientato a Haiti nel 1962, l’altro a Parigi nel 2017), Zombi Child fa riferimento proprio a quel Clairvius Narcisse tenuto per l’unico caso accertato di persona trasformata in zombi con un rito vudù, documentato dall’antropologo americano Wade Davis nel libro cui s’è ispirato Wes Craven per il suo film. Bonello ricostruisce la storia di Narcisse, mostrandocene la morte e la resurrezione come corpo privo di volontà, sfruttato dallo stregone che l’ha soggiogato col veleno estratto dal pesce palla e lo utilizza come schiavo nelle piantagioni di canna. E mostrandoci la sua autoliberazione, ottenuta mangiando carne e recuperando la coscienza. In parallelo assistiamo alla storia dell’immaginaria nipote di Narcisse, giunta a Parigi dopo il terremoto che ha squassato Haiti, che racconta il suo segreto ad alcune compagne dell’elitario collegio che frequenta, innescando curiosità e aprendo la porta ad antichi demoni haitiani.
Come in Tiresia, ma in maniera molto più netta, Bonello innesca insomma lo slittamento di piani temporali tra mito e contemporaneità, giustapponendo narrativamente le due parti e ottenendo il classico cortocircuito logico che segna il suo cinema, sempre scritto tra la zona d’ombra della volontà e l’attacco solare, a cielo aperto, alla struttura organizzativa della realtà. L’istituto, inteso come edificio nel cui spazio l’uomo trova il suo ordine esteriore, diviene il contenitore degli spettri più reconditi della coscienza: il collegio della Legion d’Onore, nelle cui stanze germina di nuovo la ritualità vudù, è il corpo sociale in cui si perpetra e ribalta la zombificazione storica di Haiti nel suo passato di colonia francese, ed è lì che i demoni della cattiva coscienza francese verranno nuovamente evocati. La linea, del resto, è la stessa che Bonello incarnava nell’altro oggetto horror che ha girato di recente, il magnifico cortometraggio Sarah Winchester, Opéra Fantôme, dove spingeva nelle istituzionali sale dell’Opéra parigina gli spettri evocati dalla vedova Winchester nella labirintica magione in cui si era murata assieme ai suoi fantasmi. Alla stessa maniera in Zombi Child organizza un colpo al cuore della struttura sociale organizzata, seguendo la linea di una passione ingenua, pura nella sua innocenza indifferente al presente. Come i ragazzi terroristi di Nocturama, come la possessione del corpo della ballerina in Sarah Winchester, Opéra Fantôme, anche in Zombi Child c’è la contrapposizione tra possessione e liberazione come prassi per raggiungere la purificazione forzata delle colpe storiche. La libertà resta nel suo cinema il vero spettro da evocare nel cono d’ombra della volontà azzerata: forse ora iniziamo a capire che la possessione è il punto focale dal quale il cinema di Bonello non può prescindere.