In un ucronico passato recente, l’umanità ha utilizzato per anni i robot come servi per far loro svolgere i lavori più umili e pesanti oltre che per l’intrattenimento. Almeno fino a che, come da copione, le macchine si sono rivoltate contro i loro creatori dando inizio a una guerra per la loro libertà. Gli uomini hanno reagito inventando una tecnologia in grado di controllare droni meccanizzati e domare così la differenza di prestazioni fisiche con i robot oltre che non esserne più dipendenti. Le macchine vengono rinchiuse in uno stato prigione ma una di esse riesce a fuggire per andare a cercare una ragazza di cui, contro ogni logica apparente, sembra essere il fratello morto anni addietro in un incidente. Electric State, il lungometraggio di Anthony e Joe Russo prodotto da Netflix (budget 320 milioni di dollari, per distacco la produzione più costosa mai realizzata dalla piattaforma), nasce come una doppia sfida estremamente impegnativa. Da una parte, infatti, il film si trova inevitabilmente messo a confronto con l’opera di cui è l’adattamento: l’omonimo, meraviglioso volume di Simon Stålenhag (Mondadori, pag. 144, euro 25), artista scandinavo autore di libri di fantascienza le cui illustrazioni hanno lasciato di sasso milioni di persone grazie a una suggestività crepuscolare che crea mondi retrofuturistici semplicemente ipnotici.
L’altro difficile paragone è con Loop, la serie TV prodotta dalla concorrente Prime Video adattando un altro dei capolavori di Simon Stålenhag. Il risultato? Senza mezzi termini un fallimento. Doppio, come la sfida. Electric State non regge il confronto in nessuno dei due casi. Se Loop riesce infatti a catturare l’atmosfera malinconica ed elegiaca dell’opera a cui è ispirato, dando vita a una serie fra le migliori di tutta la piattaforma, il lavoro dei Russo riesce tutt’al più a sfruttare un porzione minimale del worldbuilding fortemente visuale, ma non per questo debole a livello testuale, di Stalenhag riproducendo sì alcune delle sue illustrazioni con un risultato piacevole da vedere, ma non arriva a comprenderne a fondo lo spirito com’è invece successo con Loop, limitandosi a copiare l’aspetto esteriore senza mai tradurne il senso profondo.
Ed è parlando di senso e di messaggio che i fratelli Russo cadono peggio. Il loro adattamento, per quanto fedele a grandi linee, si rivela una trasformazione di una storia attuale e inquietante in un film per ragazzi da cinema dell’oratorio, dove i temi dell’opera vengono sì ripresi ma solo in maniera accennata e per venire banalizzati senza un briciolo di approfondimento. La scrittura è poi scolastica, con personaggi scontati che soffrono di una caratterizzazione vista e rivista che li porta a interazioni telefonate e archi di trasformazione prevedibili. Chris Pratt, pur consapevole di farlo, rifà il suo Starlord ma totalmente privo del carisma e dell’ironia di Guardians of the Galaxy mentre Giancarlo Esposito recita col pilota automatico svolgendo un compitino che svuota il suo personaggio di ogni interesse. Electric State si può definire il punto più basso della parabola discendente di Anthony e Joe Russo, una coppia di registi che sembra vivere giocando pericolosamente con le aspettative sempre alte che è in grado di suscitare, complici i successi al botteghino, ma delle quali non sempre si rivelano all’altezza. Ed è un peccato, un’occasione sprecata: il libro di Stalenhag è un’opera di qualità stellare che, in questo fallimentare adattamento, viene trasformato in un filmetto.