Sono cinquant’anni – il suo Titicut Follies, documentario sui pazienti del Bridgewater State Hospital, ospedale psichiatrico del Massachusetts, è del 1967 – che Frederick Wiseman analizza, seziona, testimonia, indaga il funzionamento delle istituzioni americane. La sua idea di cinema è osservativa e immersiva allo stesso momento: le sequenze sono lunghe, montate con una punteggiatura esemplare e didattica, i tempi sono dilatati perché la fretta è spesso nemica della comprensione. Nei suoi ultimi film – At Berkeley, sulla prestigiosa università californiana; National Gallery, sulla più importante pinacoteca britannica; In Jackson Heights, su un quartiere del Queens e sui suoi funzionamenti comunitari – la durata si è ulteriormente allungata: i suoi film sono sempre più diventati delle disamine organiche e onnicomprensive che analizzano il ruolo di determinati luoghi attraverso la descrizione minuziosa dei loro meccanismi, interni ed esterni. Siamo, come in In Jackson Heights, ancora a New York: l’oggetto dell’anamnesi è stavolta la New York Public Library, una delle istituzioni culturali più importanti del paese con i suoi diciotto milioni di utenti e i trentadue milioni di visitatori online all’anno.
Wiseman, ancora una volta, giudica le potenzialità di un luogo pubblico in base alle sue capacità di inclusione sociale, alla sua forza connettiva al servizio di una comunità che le nuove tecnologie rendono sempre più ampia. Ex Libris – The New York Public Library è, come al solito nei lavori di Wiseman, un viaggio di ricerca e di comprensione: le attività della biblioteca vengono riprese, esposte, svelate senza bisogno di alcun commento. Le numerose scene di pubblico che partecipa alle iniziative culturali si alternano con le riprese delle riunioni di budget proprio come in At Berkeley le lezioni con studenti e professori e i meeting interni dell’amministrazione ricoprivano un valore identico e complementare. Lo schema è cristallino: la cultura – e il meccanismo socio-economico che è alle sue spalle – è il motore di una affermazione sociale, le istituzioni che la rappresentano (e che la garantiscono) sono la benzina umanista che manda avanti il mondo. Lo schematismo concettuale potrebbe sembrare manicheo ma è smascherato dal metodo minuzioso di Wiseman: ogni uomo (lavoratore), ogni riunione (di qualsiasi livello e grado), ogni iniziativa volta alla conquista di un pubblico (di cittadinanza, non di semplice partecipazione) è un tassello che gratifica la costruzione di un senso civico che è l’unico significato possibile in un mondo altrimenti lacerato. Certo, i film di Wiseman torturano lo spettatore fino alla noia: durano tre ore ma potrebbero durarne ugualmente una o dieci; ma il segnale, il significato del suo lavoro è preciso, unico: ogni istituzione serve il popolo e le uniche istituzioni in grado di servire il popolo sono quelle culturali. Il vecchio soldato Wiseman manda messaggi comprensibili e cristallini: in tempo di guerra solo l’arte, la cultura, la partecipazione rimangono gli strumenti di pace a nostra disposizione e forse New York, nella sua unicità peculiare, può diventare un’ipotesi di mondo possibile. Chi ne usufruisce è il pubblico, nel senso più ampio e umanista del termine, facendo leva su un senso civico che travalica l’ordinarietà dei gesti (anzi, sottolineandone la necessaria e ovvia ripetitività): è il fattore determinante, all’interno di una macchina con regole e ipotesi perfettibili ma necessarie, per un serio, sereno, sensibile miglioramento della società tutta.