Si volterà o no Intoy, come gli amici lo invitano a fare, entusiasti, vedendo comparire lei in quel ritaglio d’orizzonte su cui si apre il loro campo di gioco? Una tentazione a cui lui preferisce resistere, sapendo che la sua Euridice è destinata a scomparire. Destino di tutte le donne di Biri, la piccola isola dell’arcipelago filippino. Questo il finale di un film acclamato con meritata stending ovation al Far East Film Festival di Udine, ospite Christian Bables, il ventisettenne protagonista. L’incipt è altrettanto memorabile e dà ragione del titolo: Signal Rock. Una punta rocciosa protesa sporgente verso l’oceano e il cielo, dove i ragazzi si arrampicano come granchi a posizionare i loro cellulari, braccia tese in alto a cercare il segnale, aiutati da forchette e altri pezzi di ferro montati sui loro apparecchi, infine poggiati negli incavi della roccia, tutti in attesa di una chiamata dall’altra parte del mondo. Per Intoy a chiamare deve essere la sorella, dalla Finlandia, ma sa anche che presto gli toccherà attendere le telefonate della sua ragazza, Rachel, che la famiglia sta inviando a lavorare in un bar nella zona altamente urbanizzata di Olangapo, con la speranza di farla adescare da qualche americano.
Protagonista assoluto del film è il dolore della perdita; un dolore mesto, vissuto come rassegnata utilità dalle generazioni più anziane, ma sempre più insopportabile per i ragazzi del luogo. Per le loro coetanee nascere donna vuol dire emigrare e sostenere la famiglia. Per entrambi innamorarsi è impossibile, la migliore sorte per le ragazze è sposarsi un anziano occidentale, come farà Gloria, loro amica, mentre la peggiore è quella della sorella di Intoy, Vichy, che il marito ha cacciato di casa e a cui vuole togliere la bambina, Sophia. Da qui l’intreccio narrativo su cui il film si dipana e costruisce questo microcosmo, come navicella aliena al largo dal mondo. Vichy deve fornire prove al Consolato finlandese che la loro famiglia è in grado di crescere e sostenere la piccola Sophia e per fare questo suo fratello Intoy inizia a raccogliere una serie non da poco di documenti falsi, coinvolgendo quasi tutto il villaggio. Il Sindaco metterà a disposizione la sua villa per far credere che sia la loro residenza, un vecchio amore di Vichy firmerà volentieri una finta dichiarazione di vendita della sua piantagione di cocco, l’unico alimentari del villaggio diventerà l’attività commerciale della sua famiglia, invece indigente, con due genitori separati e che nemmeno si parlano e con Intoy a sua volta in conflitto con il fratello maggiore, che vede nella sorella all’estero solo la fonte per il suo sostentamento. Senza compiacimento, Chito S. Roño si discosta dalla sua vocazione spettacolare e ci regala un film molto personale, tornando nella sua provincia natia di Samar. Lo fa senza rinunciare a un impianto narrativo calibrato per un grande pubblico e a immagini spettacolari (la tempesta in mare). Al contempo, fuori dai generi fantasy e horror della sua prolifica carriera (oltre 40 film in tre decenni), con questo piccolo grande film conquista la candidatura per l’Oscar al Miglior Film Straniero del 2019 (91st Academy Award for Best Foreign Language Film).