Festa del cinema di Roma: Astolfo di Gianni Di Gregorio, il poema cavalleresco dei giorni nostri

Astolfo (Gianni Di Gregorio) deve lasciare l’appartamento romano in cui ha vissuto per anni in affitto. Torna così al paesello dove è proprietario di un’antica e imponente casa nobiliare che affaccia sulla piazza principale e confina con il palazzo della curia. L’arrivo del “professore” non passa inosservato perché in paese le notizie corrono («Qui si sa tutto»). Ad aspettarlo trova Oreste (Alberto Testone), il figlio del fabbro che si è insediato a palazzo da «6-7-8 anni» perché non aveva dove andare dopo che l’ex moglie si è presa la sua casa, Malagrotta (Gigio Morra), un sedicente cuoco che offre i suoi servizi, e Daniel (Mauro Lamantia), il giovane elettricista venuto per sistemare i fornelli. Ritrova anche il cugino Carlo (Alfonso Santagata), un latin lover che sfreccia sulla sua spider rossa e che da qualche tempo sembra aver messo la testa a posto con Ottavia. Ma soprattutto incontra Stefania (Stefania Sandrelli), cugina di Ottavia e nonna a tempo pieno di tre nipoti. La scombinata combriccola condivide con Astolfo pranzi e ricette, gli dà consigli su come comportarsi con le donne e cosa indossare per fare colpo, lo sostiene nelle questioni pratiche e burocratiche con il prete vicino di casa e con il sindaco proprietario di una villa abusiva nel boschetto di sua proprietà.

 

 

Dopo le resistenze iniziali («Cosa potrei offrire a una signora? Io sono vecchio», «Non voglio coinvolgimenti»), Astolfo finisce per ascoltare il monito di Carlo («Quello che potevi fare e non hai fatto è una dannazione per la vita») e inizia a corteggiare la romantica Stefania che si commuove guardando Colazione da Tiffany e Pane, amore e fantasia per la centesima volta. Con la profonda leggerezza che lo caratterizza Gianni Di Gregorio in Astolfo (presentato alla Festa del cinema di Roma – sezione Grand Public e dal 20 ottobre in sala) parla di nuove possibilità che si aprono quando meno te lo aspetti, di sogni a occhi più o meno aperti, di amore che cambia la percezione delle cose («Adesso per me è tutto bello, ma perché ci sei tu») e di fratellanza tra spiriti affini. Con garbo e ironia attacca i “poteri forti”, contro cui nulla si può: quello religioso (i preti «avanzano, si stanno mangiando tutta» la casa e infatti si sono impossessati, erigendo un muro, del salone blu perché «il Signore ha voluto farne un luogo di aggregazione» per i giovani), quello politico (il sindaco abusivo è il più preoccupato dall’arrivo di Astolfo: «Occorrerà tenerlo d’occhio» dice al prete che si offre di vigilare sulle sue azioni), ma anche della famiglia tradizionale: il figlio di Stefania la sfrutta come baby sitter a tempo pieno, negandole pure un weekend al mare con la cugina, e si preoccupa della nuova frequentazione della madre («È uno in cerca di soldi»). Astolfo combatte come può contro tutto questo perché, oltre a portare il nome di un celebre e valoroso antenato il cui ritratto campeggia in una stanza della casa, si chiama come il paladino di Carlo Magno che nell’Orlando furioso deve andare sulla Luna, in sella a un ippogrifo, per recuperare il senno di Orlando (non a caso, nelle sue notti insonni, Astolfo/Di Gregorio osserva spesso la luna). Come Ludovico Ariosto, Di Gregorio realizza il suo personale poema cavalleresco in cui canta «le donne, i cavalier, l’arme, gli amori». Poesia pura.