La spiritualità come un campo di battaglia tra paura e desiderio, tra l’orrore che incombe sulla realtà del mondo e il bisogno di sperare in una redenzione quanto meno postuma. In padre Toller, il curato di campagna che in First Reformed (Venezia 74) annota sul suo diario i turbamenti della sua fede, c’è tutta la volitiva impotenza degli eroi schraderiani: ex cappellano militare con la coscienza sporca del sangue del figlio, spinto sul fronte iracheno dove ha trovato la morte, Toller veste l’abito sacerdotale come un cilicio che aderisce perfettamente alle sue ferite. La sua fede è forte della disperazione che si porta dentro, dunque debole nell’incapacità di sperare in una ragione che tenga in piedi il suo mondo. La maschera che indossa calza perfettamente al suo ruolo di pastore di una chiesa dalle fondamenta vecchie come l’America: 250 anni di fortilizio della fede per una comunità un tempo solida, ormai sparuta nei banchi deserti della domenica. La chiesa, il bianco edificio, è il totem sul quale Schrader concentra la sua attenzione simbolica, sin dall’inizio, sancito dalla lenta, statuaria panoramica verso quella casa del Signore, il cielo in controluce sul fondo.
Padre Toller all’interno, lungo e nero nel suo abito da pastore, inciso nella figura solida e fragile allo stesso tempo dell’ex poeta morto Ethan Hawke. Il contrappunto è scritto – tra Bresson e Dreyer – sul buio delle stanze private del religioso, chino sui fogli vergati a mano di quel diario sul quale sta scrivendo i suoi pensieri come un esercizio di razionalità e di analisi a baluardo della sua fragile fede. Il contrappasso viene invece da Mary e Michael, la giovane coppia di parrocchiani che si offre a lui come occasione di salvezza e dannazione: lei è incinta di un figlio che lui, terrorizzato dal futuro apocalittico che il mondo si sta assicurando, non vorrebbe. Il ragazzo è un ambientalista radicale, che ha già tradotto in atti estremi la sua rabbia per i danni che l’uomo sta causando al pianeta, e il confronto con Toller si gioca proprio sul nodo schraderiano stretto come un cappio attorno al collo dei suoi eroi: miscelare speranza e disperazione, dannazione e salvezza. Michael è il corpo estraneo che abita la coscienza del pastore, se ne impossessa come un virus, nemesi del suo passato di genitore che ha consegnato alla morte il proprio figlio. Intanto il film costruisce la rete di ipocrisia lucida e necessaria che ordina la scena nel cinema schraderiano: le celebrazioni per lo storico anniversario della chiesa, sponsorizzate dal magnate locale coi soldi accumulati inquinando l’ambiente, diventano il recinto in cui Toller non riesce a contenere la rabbia che monta nel suo spirito. E la speranza diventa folle bisogno d’azione, disincarnazione dell’eroe in un corpo estraneo: come fosse un Travis Bickle reincarnato, il pastore s’immerge nel progetto disperato di Michael, nelle sue paure e nel suo desiderio di cambiare le cose con un’azione estrema. E il film diventa un oggetto a sua volta disperato e lucido, Schrader lo compone e scompone in ogni inquadratura, ripensando la quiete in furore, traducendo la pietà in passione. La metamorfosi di Toller è lenta e repentina allo stesso tempo, pregna di quel senso didascalico che appartiene a Schrader, ma anche del suo senso morale scultoreo, dell’intaglio preciso e a vista delle emozioni. Il terzo movimento del film, quello della rabbia che offusca la mente del pastore e lo allontana dalla pagina su cui scrive, come in una sceneggiatura, i suoi turbamenti, è rapsodico, urlato, incisivo ed esaltante. Si resta impietriti dinnanzi a un film come First Reformed, stonati dalla dissonanza che crea nel cuore del suo protagonista, traducendola in un malessere tetragono a ogni distrazione. Alla fine l’amore: certo, la salvezza viene da lì, ma è una redenzione minima, terminale, privata. Il mondo intanto fuori brucia nell’inferno. E Schrader lo sa bene.