“Cosa facciamo? Non voglio che ci separino”, dice in una scena di Dirty, Difficult, Dangerous Mehdia al fidanzato Ahmed. Lei è etiope, lui siriano. Entrambi hanno lasciato i loro Paesi per motivi diversi cercando una nuova vita (che si rivelerà impossibile per lo sfruttamento e il razzismo diffusi) in Libano. Sono due giovani che si amano e vorrebbero vivere il loro amore che però viene contrastato senza sosta in una società piena di risentimento verso gli stranieri, gli immigrati. Da una parte c’è la negazione dei diritti per le donne che sono venute a lavorare nel Paese dei cedri nelle case di agiati libanesi come domestiche e trattate alla stregua di schiave alle quali è stato sottratto il passaporto. Mehdia è una di quelle, costretta a subire i torti della famiglia dove presta servizio. Dall’altra parte c’è l’ostilità nei riguardi dei rifugiati siriani dalla guerra che devono sottostare a un coprifuoco, dormire in edifici abbandonati o essere relegati in campi profughi, che non possono trovare un’occupazione perché viene loro negato l’accesso ai centri di collocamento. Ahmed, scappato dalla Siria dove era stato colpito da una bomba e che porta dentro il suo corpo i segni di quanto accadutogli, è uno di loro, che si arrabatta recuperando ferro vecchio per fare qualche soldo. Si basa dunque su una situazione e condizione sociale precisa e realista il terzo lungometraggio, secondo di finzione, del regista libanese Wissam Charaf (presentato alle Giornate degli autori della Mostra di Venezia nel 2022 e ora distribuito nelle sale). Eppure, Dirty, Difficult, Dangerous sconfina da questa rappresentazione – che rimane il pre-testo evidente – per farsi molto altro, aprirsi a una struttura stratificata a fronte dell’apparente semplicità della narrazione.
Dirty, Difficult, Dangerous è composto di una serie di “quadri” per raccontare, con sintesi diegetica e formale, un percorso di resistenza e umanità, di sofferenze e desideri di riscatto. Accadono tanti fatti nella breve durata del film. Un film che è una storia d’amore alla quale offrire una speranza nonostante i numerosi incidenti che la ostacolano. Mehdia e Ahmed si amano di nascosto, hanno un loro nido d’amore, un rifugio romantico, nel bosco, lontano da una quotidianità pesante per entrambi. E quando le cose diventano insostenibili, Mehdia (che vorrebbe anche poter tornare in Etiopia a visitare la famiglia, ma il permesso le viene negato dalla sua padrona) scappa dalla casa che la ingabbia e con Ahmed inizia un on the road lontano dalla città. Ci saranno altri ostacoli da superare prima e dopo una parentesi felice in un hotel di lusso perché la ragazza ha vinto un concorso con in premio una piccola vacanza. L’importante è stare insieme, uniti, per non venire separati. Mentre il corpo di Ahmed è in preda a una mutazione irreversibile, ha una tale quantità di metallo, conseguente alle ferite riportate quando scoppiò l’ordigno, che, gli dice un medico, dovrebbe essere già morto. Il collo, la spalla, il braccio e la mano destra si anneriscono sempre più, in maniera innaturale. Ma Charaf rende tutto credibile.
Sta qui l’originalità – e la scommessa vinta – del film. Inserire, nel modo più fluido, nel realismo tracce di fantastico, di favolistico (si pensi ai colori utilizzati per le scene in cui la coppia ripara nel bosco), di umoristico e surreale anche all’interno di momenti drammatici (si pensi all’anziano padrone che non ragiona più e vedendo in televisione il Nosferatu di Murnau si immedesima nel vampiro andando in giro per le stanze ri-proponendo i suoi gesti o a come Ahmed raccoglie il proprio braccio diventato metallico e che si stacca dal suo corpo mettendoselo in spalla come se niente fosse – elemento simbolico di cesura con il presente e il passato e al tempo stesso di memoria di essi, quindi e comunque parte di sé), di lampi onirici (si pensi in questo caso alla scena in cui Mehdia il mattino della partenza non trova Ahmed e cammina per strada alla sua ricerca vedendo il volto dell’amato nei passanti, colta da una vertigine ben espressa nella forma). E poi ci sono gli espliciti riferimenti all’espressionismo, le ombre dei corpi sui muri: nella camera dove dorme Mehdia e entra il vecchio con le fattezze di vampiro, inquadratura che diventa “calco” di quella di Murnau; sulle scale del palazzo dove Mehdia si nasconde dopo essere fuggita di casa; in strada mentre i due innamorati camminano. In un film che, con toni lievi, un’ottima colonna sonora che punteggia e mai prevale, un’intensa recitazione (soprattutto di Clara Coutoret nel ruolo di Mehdia), tratta questioni d’attualità che ci riguardano tutti.