Geografia della memoria in La cordigliera dei sogni di Patricio Guzmán

Due immagini si sovrappongono, una lunga ripresa aerea della cordigliera delle Ande e le stesse montagne, questa volta dipinte, in un grande quadro all’interno di una stazione della metropolitana di Santiago del Cile. La realtà e il suo doppio si rispecchiano mentre la voce fuoricampo dello stesso Guzmán afferma: «La cordigliera per la sua forza e il suo carattere è la metafora di questo sogno». La cordigliera dei sogni è l’ultimo atto di una trilogia che ha occupato per una decade il lavoro del cineasta cileno Patricio Guzmán. Uno dei rappresentanti più noti del Tercer Cine, movimento che negli anni ’60 e ’70 si opponeva tanto al cinema hollywoodiano come alle politiche degli autori europei, Guzmán è stato testimone diretto del golpe di Pinochet che filmò nel monumentale La batalla de Chile – oltre sei ore di durata – e che è tutt’oggi il più completo documento audiovisivo sugli eventi accaduti nel Paese sudamericano tra il 1972 e il 1973. Con la trilogia inaugurata con Nostalgia della luce (2010) – seguito da La memoria dell’acqua (2015) – Guzmán ha abbandonato lo stile diretto e volutamente asettico che ha caratterizzato buona parte della sua produzione per abbracciare un punto di vista fortemente personale. Con la trilogia il documentarista cileno, quasi fosse un cartografo, traccia una mappa del genocidio cileno. Nostalgia della Luce (2010) si apre con l’estremo nord – con quel deserto di Atacama scenario multiplo di indagini scientifiche e forensi – mentre La memoria dell’acqua (2015) si inabissa nell’oceano freddo della Patagonia, infine La cordigliera dei sogni (2019) affronta il centro del Paese, la sua capitale e le montagne che la circondano.

 

 

I tre documentari hanno una profonda omogeneità stilistica, al punto che possono essere visti come un’unica opera in tre tempi. Le linee di un itinerario prima geografico, poi scientifico e infine storico-politico, che partono con Nostalgia della luce e arrivano a La cordigliera dei sogni. L’universo inorganico in ogni film (le sabbie del deserto, il fondo dell’oceano, le rocce delle Ande) riporta alla luce, poco a poco, la realtà storica del Cile contemporaneo e del suo recente passato tragico. Se però il Deserto di Atacama, in Nostalgia della luce (come il fondo dell’oceano ne La Memoria dell’Acqua) era il punto d’incontro fisico tra il passato e il presente, dove in pochi metri si potevano incontrare mummie precolombiane e resti di desaparecidos della dittatura, astrofisici dell’osservatorio internazionale e gli archeologi cileni, La cordigliera dei sogni non usa il massiccio montuoso come sfondo bensì come oggetto metaforico. Il film si apre infatti sulla cima delle Ande per poi scendere in città gradualmente. La città e le montagne sono in continuo contrasto e in sovrapposizione, i picchi con le strade, gli edifici con le fessure delle rocce. La cordigliera dei sogni– quasi in un twist al terzo atto – apre all’autofiction, al racconto in prima persona, al dialogo diretto con i suoi intervistati. Lo sguardo poetico e distante di Nostalgia della luce lascia il passo al calore del ricordo d’infanzia e al dubbio sulle prospettive sul presente cileno. Guzmán, per buona parte del documentario, dialoga con Pablo Salas, documentarista che dalla fine degli anni ’70 si è dedicato a filmare i crimini perpetrati dalla polizia e dall’esercito cileno. Salas è una sorta di alter-ego di Guzmán, o meglio un erede. Se l’autore di La batalla de Chile in seguito alla persecuzione e alla morte di vari dei suoi collaboratori (Leonardo Henrichsen, uno dei suoi cameramen filmò il proprio assassinio durante il tanquetazo dell’11 settembre del 1973) scappò in Francia, Salas iniziò a filmare proprio dopo il colpo di Stato. In oltre quarant’anni i materiali che compongono l’archivio di Pablo Salas provano, in una forma anarchica e personalissima, a colmare il vuoto d’immagini successivo a La batalla de Chile. Jacques Derrida nel 1995 in Mal d’Archive. Une impression freudienne, leggendo Freud, chiama questo impulso delle dittature alla distruzione delle prove, “archivi del male”. L’impronta che i regimi lasciano nella storia è marcata dall’eliminazione delle proprie immagini. L’archivio del male è rappresentato dall’assenza, dalla mancanza. Lo sforzo – a tratti nevrotico – tanto di Salas quanto di Guzmán è quello di colmare quel vuoto. «Grazie all’archivio di Pablo non è possibile dire che il passato non è successo».

 

 

Nella storia del cinema forse solo Claude Lanzmann e Rithy Panh hanno dedicato la loro intera cinematografia a una tragedia storica, cercando in primo luogo il valore documentale dell’immagine, come prova ontologica di un accadimento prima ancora come mezzo narrativo. A differenza di Lanzmann, Patricio Guzmán però si trova di fronte a un nemico che non solo ha vinto la sua Batalla, e ha governato il Paese per oltre vent’anni ma ha anche tracciato la linea politica dei successivi governi ed è tutt’ora celebrato in buona parte del Paese. La città di Santiago, in contrapposizione alla Cordigliera, diventa così metafora dell’impossibilità di lottare contro le mega-strutture – il governo americano, le multinazionali, l’oligarchia cilena – che hanno deciso che il Cile sarebbe diventato il banco di prova di quel neoliberismo che limita i diritti e promuove la privatizzazione delle risorse naturali. Dall’altro lato la Cordigliera, totalmente disabitata nonostante occupi l’80% del territorio cileno, diventa sogno di un’infanzia collettiva, terra promessa dove recuperare l’identità del Paese. La Cordigliera (dei sogni) è uno spazio inospitale ma radicalmente libero in cui è ancora possibile concepire la parola futuro, in cui si possono incontrare frammenti di stelle cadenti (gli asteroidi che chiudono il film) che permettono ai desideri di diventare realtà.