Quando, tempo dopo, i due si ritrovano in situazioni più normali, la solidarietà diventa ben presto amicizia e la loro vita in comune, in una capanna ai margini di un centro abitato, diventa il perno delle loro esistenze. Le cose inizieranno ad andare meglio quando un ricco signorotto locale porta una mucca, che Cooky munge di nascosto ogni notte per procurarsi il latte con cui impastare le frittelle che tanto successo riscuotono ogni giorni al mercatino locale. Il film è tutto qui, nel lieve apologo sulla nascita di una società americana in cui lo schema classico del buddy movie si stempera nella ricostruzione storica e si confronta con la narrazione dei primitivi schemi di società capitalista e classista espressi nel mondo ancora abbozzato dei coloni americani. Ci sono tracce analitiche precise, che offrono una lettura semplice e appropriata della società americana, ma nell’insieme First Cow appare un’opera fragile, di sicuro meno interessante dei lavori precedenti della regista, da Wendy and Lucy, a Old Joy a Night Moves. Anche se capace di mantenere inalterata la lucidità d’analisi che applica alle parabole umane e sociali su cui si esercita, Kelly Reichardt in First Cow sente troppo lo sforzo della ricostruzione storica, il peso della contemplazione di gesti, abiti, oggetti, abitudini, pratiche della vita dei primi coloni americani, messa in scena con una certa leziosità da museo antropologico e una sostanziale pedanteria da ricercatrice. Resta un film lieve e sereno, che ha le sue qualità ma che lascia flebili tracce.