Vicino alla soglia dei 70 anni, David Lynch decide dal 2012 di spingersi oltre il limite di quella riservatezza che lo ha reso artista quasi imperscrutabile, deliberatamente ambiguo e misterioso non solo nella rappresentazione di incubi e visioni che nel tempo lo hanno reso autore unico nella capacità di dare forma a mondi e realtà del tutto personali, ma anche nel fornire chiavi di lettura univoche alle opere partorite dalla sua immaginazione. Quanto vediamo in David Lynch: The Art Life, secondo lavoro sul regista americano del trio danese JonNguyen, Olivia Neergaard-Holm e Rick Barnes, presentato a Venezia 73, è il viaggio attraverso la genesi artistica dell’autore di Mulholland Drive e Velluto Blu, assente dal grande schermo esattamente da un decennio, da quando il labirintico INLAND EMPIRE, nel 2006, chiuse un percorso artistico ed espressivo che pareva essere giunto a un punto estremo di non ritorno. E così mentre cresce l’attesa per la terza stagione Twin Peaks, annunciata per il prossimo anno, questo documentario si rivela una tappa obbligata, in primo luogo per il fan lynchano, non tanto per il coinvolgimento in prima persona del regista, che qui si racconta e si lascia riprendere nell’intimità del suo laboratorio sulle colline hollywoodiane, mentre fuma avvolto da dense nuvole di fumo e dà forma e superficie ai suoi lavori pittorici, in compagnia della figlioletta Lula; ma soprattutto per l’aspetto umano che emerge dal ricordo delle tappe più significative della sua crescita, dai primi anni trascorsi nella quieta provincia americana, sino ai tormenti e alle angosce vissute nell’humus metropolitano di Filadelfia e alle prime soddisfazioni cinematografiche dell’esordio cult Eraserhead, passando per il rapporto di odio e amore per l’ambiente accademico e quell’immaginazione che lo portò a colmare lo scarto tra la staticità della pittura e il movimento dell’immagine filmica (mentre osservava uno dei suoi quadri, gli sembrò di vederlo muoversi…)
Attraverso un efficace confronto fra passato e presente, scorrono sullo schermo gran parte delle sue ossessioni visive e sonore, in una rete di significati che non soltanto ci permette di comprendere meglio la sua cifra artistica, ma ci offre uno sguardo inedito sul rapporto tra Lynch e il mondo, su una personalità che già si rivelava fuori dal comune nonostante la giovane età, per i modi di intendere e percepire la realtà. Lo ascoltiamo così raccontarci del rapporto con i genitori, di incontri e luoghi, dei primi approcci con l’arte che diventa da subito una dipendenza. Ma anche di episodi al limite dell’onirico, come l’apparizione fantasmatica davanti casa di una donna nuda e sanguinante quando David era ragazzino, un’immagine che andrà poi ad ispirare una sequenza di Velluto Blu dove a camminare per strada svestita e tumefatta è Isabella Rosellini. Lo sguardo nel passato prova ad offrire le chiavi di lettura per meglio leggere le visioni di questo singolare regista (“Il passato colora le idee, anche quelle nuove”, spiega Lynch), ed ancora più prezioso ed emozionante è il repertorio di immagini inedite, non solo momenti di vita privata ma anche vere e proprie sorprese come gli spezzoni dei primi esperimenti con l’immagine in movimento, e alcune scene tagliate dal cortometraggio The Grandmother. David Lynch: The Art Life nonostante un linguaggio piuttosto convenzionale si adatta alle misteriose atmosfere lynchane (incluse le musiche) per tratteggiare gli aspetti più personali dell’icona cinematografica, lasciandoci, in una tensione emotiva, una curiosità ancora più viva.