La vita è la vita è la menzogna: Finalement di Claude Lelouch

Una vita a parlare di sentimenti e di destino, di esistenze che seguono percorsi inattesi e di eventi che segnano gli individui, le generazioni, i popoli… Grande cantore della coralità, Claude Lelouch è un maestro del dilagare filmico, narrativo, esistenziale condotto con approccio bergsoniano, in cui il tempo è una dimensione intima, fluisce dalla percezione e si traduce in una visione della realtà. L’applicazione cinematografica che ne fa Lelouch è davanti agli occhi di tutti noi adepti della sua filmografia, presi nel flusso di coscienza delle sue narrazioni multiple, delle molteplici ragioni dei suoi personaggi, della loro caducità esistenziale trasformata in dramma, melodramma e persino tragedia se ricade storicamente sulla collettività…La prova giocosa di tutto ciò è Finalement, suo cinquantunesimo film spiattellato dall’86enne maestro come fosse l’ultimo, ma molto probabilmente eterno penultimo della sua filmografia in divenire… Tentativo testamentario semiserio, in realtà opera che svapora allegramente alla luce della sua palese, magnifica leggerezza, in cui Lelouch distilla tutto il suo cinema, letteralmente e confusamente, chiamando all’appello scene di Un uomo, una donna, sequenze cantate di L’avventura è l’avventura, sciogliendo i legami della narrazione in una sorta di road movie sospinto sulla deriva esistenziale di un personaggio che è la negazione di se stesso: un avvocato parigino di grido, che ha mollato tutto e si è spinto nell’entroterra francese, in un’avventura che ha il sapore di un allegro addio.

 

 
Il suo nome, Lino Massaro, lo condivide con il Lino Ventura di L’avventura è l’avventura, che però era una canaglia, mentre lui ha l’aria bonaria di Kad Merad.  Il filo della narrazione segue quello degli incontri che fa, incarnando di volta in volta vari personaggi immaginari, varie storie, varie vite: ora si spaccia per regista di film porno, ora per sacerdote sessuomane spretato, ora per trombettista di riflesso sulla sua passione di gioventù, dispersa nelle aule pretorie. È così che fa innamorare una giovane donna di campagna che suona il piano e grazie a lui vede per la prima volta I ponti di Madison County… Non che i rivoli della solita narrazione lelouchana dispersiva siano solo questi, ma tanto basta a dare le coordinate di un personaggio che in realtà dice di aver abbandonato la carriera di avvocato perché ha un grave male che gli impedisce di mentire…, ombra allegra di ben altro problema che grava sulla sua esistenza. Finalement riattiva insomma in maniera parossistica e allegramente difforme il flusso narrativo a grande orchestrazione di cui Claude Lelouch è stato maestro.

 

 
La coerenza narrativa è un’ipotesi che non regge la prova delle scene, ma non è certo un problema: il flusso narrativo scorre lieve, impalpabile e il film resta come un esercizio di libertà di un regista anziano ma tutt’altro che senescente. Mentre ai giovani filmmaker impegnati in pitching e lab si insegna a progettare, questo vecchio signore del cinema francese, negletto ai tempi della nouvelle vague, si ingegna a mischiare le carte e metterle sul tavolo di questo solitario da giocare in compagnia degli amici. Meno di vent’anni fa eravamo in pochi, spesso insospettabili, a portare sul petto orgogliosamente la coccarda lelouchana. Oggi, per fortuna, siamo molti di più ad amare, e tanto, il suo cinema: Finalement