Dice di aver pensato a L’innocente, l’ultimo film di Luchino Visconti, Ira Sachs, regista quasi sessantenne statunitense che in Passages conferma la forte tensione per il cinema europeo e l’interesse non tanto per le relazioni in sé, quanto per le dinamiche interne ed esterne ad esse. Come a voler mettere in relazione continua microcosmi e macrocosmi di una storia, per constatare che si tratta sempre di caleidoscopi di luci e ombre, di sfumature e conflitti (come le quaranta sfumature di blu di Forty Shades of Blue del 2005), di strappi o scivolamenti. Tomas (Franz Rogowski), è un regista tedesco che vive a Parigi, è sposato con Martin (Ben Whishaw), che possiede un laboratorio di stampe artistiche. Alla festa di fine produzione incontra Agathe (Adèle Exarchopoulos), di cui si invaghisce, ricambiato. Il matrimonio salta e Tomas ritrova la frenesia del vivere di cui ha bisogno per nutrire il proprio ego e respirare appieno tutte le contraddizioni possibili. Abbandona e ritorna più volte da entrambi, tradisce, mente, soffre e fa soffrire, cambia casa, abitudini, rimpiange le perdite e ci riprova. Sempre diverso e sempre uguale a sé stesso. Perché Tomas ha un carattere eccessivo, egocentrico, aggressivo e prepotente. Ma il suo narcisismo è anche il suo magnetismo. La sua energia è contagiosa e pericolosa.
Passages è un film che vuole fin da subito instaurare un rapporto diretto con lo spettatore nel suo gioco inarrestabile e mutevole tra chi guarda e chi è guardato, tra attore e regista, tra personaggi e macchina da presa, tra seduttore e sedotto, desiderio e oggetto del desiderio. L’inizio è su un set cinematografico, appunto. L’ultimo giorno di riprese del nuovo lungometraggio di Tomas e già si stabilisce il tono del film, l’ossessione sensuale di un uomo che vive le sue opere come la vita, o viceversa. Fin da subito, il primo livello di seduzione sta nell’identificare Ira Sachs con Tomas (ma non parliamo di autobiografia), e non è un caso che il film nel film porti lo stesso titolo, sottolineare i livelli successivi, ma intricati e labirintici, in cui ci addentreremo, i dettagli, i corpi, la flagranza. Passione e ossessione, sconfinamenti, passaggi, appunto. Un film viscerale in quanto capace di cogliere il cinema nel suo farsi, o meglio, il fuoco che sta alla base dell’atto creativo. Per questo è un film fatto di dialoghi e attrazione sessuale, prove di potere e sregolatezza, provocazioni vitali e autolesioniste. Le contraddizioni rappresentano la materia vitale di questa storia, assecondata da una messa in scena capace di esaltarne il potere, elaborare irrazionalmente la vertigine del possesso ma anche della perdita, osservare conquiste assaporate fino al precipizio. Passaggi di tono, di umore, di vita, come i colori sul volto di Tomas, girovago in bicicletta per le strade di Parigi, nella lunga scena finale, solo e sconfitto, dal giorno alla notte, dalla luce naturale ai bagliori variopinti di una qualunque sera cittadina.