L’eredità dietro quella porta: Chain Reactions, di Alexandre O. Philippe a Venezia81

Alexandre O. Philippe

I documentari dedicati (in tutto o in parte) a Non aprite quella porta costituiscono ormai quasi un filone a sé stante, data la ricchezza di spunti e, soprattutto, la forza espressiva perdurante del capolavoro di Tobe Hooper. Si va dai più “didattici” The Shockin’ Truth, di David Gregory e A Family Portrait di Brad Shellady, che illustrano il dietro le quinte del film e hanno spesso arricchito le varie release home video, al più definito The American Nightmare di Adam Simon che, insieme a tutto il new horror americano, abbozza i primi tentativi di una lettura critica più ampia, senza dimenticare ovviamente una serie come History of Horror di Eli Roth in cui il film ha un ruolo importante. Il traguardo del 50° anniversario impone però una riflessione nuova e per certi aspetti più ampia, di cui si fa carico Chain Reactions, nuova fatica di Alexandre O. Philippe, celebre per aver già affrontato altri capisaldi del cinema che si innesta nella cultura popolare, come Star Wars (The People vs. George Lucas), Star Trek (William Shatner: You Can Call Me Bill), Psycho (78/52, sulla celebre scena della doccia) e il forse più noto Lynch/Oz. L’idea è di lasciar raccontare Non aprite quella porta da chi ne ha in qualche modo subito il fascino e portato avanti a vario titolo l’eredità, a differenti livelli dell’industria culturale e in diverse aree geografiche. Nello specifico il comico e attore americano Patton Oswalt (che ha citato il film in alcuni suoi monologhi), il regista Takashi Miike, la saggista e critica australiana Alexandra Heller-Nicholas, il più celebre romanziere Stephen King e la regista americana Karyn Kusama.

 

 

 

Il film è equamente diviso tra le testimonianze dei cinque guest, alternate a riprese di scene scartate dal montaggio del 1974, in modo da favorire una dialettica tra passato e presente. Più interessante è però la scelta di ogni relatore di iniziare il proprio intervento partendo da film differenti: Nosferatu per Oswalt, Luci della città per Miike, Picnic a Hanging Rock per la Heller-Nicholas, i film di Ray Harryhausen per King e via citando. Scelte che possono apparire gratuite e persino fuori contesto, ma che hanno invece il merito di contestualizzare l’impatto di Non aprite quella porta in un ambito che va oltre la stretta cerchia del semplice film horror – un intento ribadito dal regista nella presentazione del film a Venezia81 all’interno della sezione Venezia Classici, dove ha auspicato una riconsiderazione che ne stabilisca il valore di capolavoro della storia del cinema tutto, senza distinzioni tra filoni, generi e culture. Una prospettiva “globale”, che riesce a infondere nuova linfa a un testo capace di suscitare inedite e più stimolanti letture: sebbene la prospettiva del film “proibito” e “violento” non manchi di farla da padrone, il documentario stabilisce interessanti parallelismi fra una certa aura onirica del lavoro di Hooper e le ragazze che svaniscono a Hanging Rock, insieme all’uso espressivo del colore che fa il pari con quello di altre opere australiane (come il celebre Wake in Fright). Il mito della violenza trascolora così in un ideale di bellezza e l’attitudine di Hooper si fa cultura che guarda ai quadri di Bacon e Bosch, così come al cinema sperimentale di Stan Brakhage, oltre alle ossessioni che tornano nel corpus della sua filmografia (in film come Eggshells, Poltergeist e Il tunnel dell’orrore).

 

 

Su tutto si ribadisce naturalmente la portata di grande racconto dell’America, che permette di rivedere in prospettiva anche le rappresentazioni dei ruoli femminili e il senso del limite nel cinema hollywoodiano classico. La celebrazione sfugge in questo modo alle logiche museali della semplice ode da appassionati, ma rende il film nuovamente materia viva: forse Philippe si fa il torto di affidarsi troppo a una rappresentazione a capitoli che rende la struttura eccessivamente schematica (e fa percepire la durata più del necessario), ma il testo è sicuramente fecondo per come riesce finalmente a parlare di Non aprite quella porta secondo una logica non restrittiva, che tocca argomenti estetici, artistici, produttivi e storici e che si auspica fornisca spunti per letture sempre più a largo raggio.