Lo scambio dei generi: Freaky, di Christopher Landon

Dopo averne rielaborato la coazione a ripetere in Auguri per la tua morte (e sequel), è ormai evidente come la riflessione sui codici espressivi dello slasher movie sia diventata un’autentica missione per Christopher Landon. Non una “cosa seria” però (o meglio “seriosa”), poiché il punto di partenza è in apparenza sempre la commedia: lì era il giorno della marmotta di Ricomincio da capo, qui – e il riferimento è chiaro fin dal titolo – è il “Freaky Friday”, ovvero il romanzo A ciascuno il suo corpo, di Mary Rodgers, già fonte di ispirazione per i disneyani Tutto accadde un venerdì del 1976 e Quel pazzo venerdì del 2003. Come a voler però rassicurare tutti gli amanti del brivido, l’inizio è un compendio-manifesto dello slasher più classico: c’è un maniaco mascherato alla Jason Voorhees che prende di mira un gruppetto di adolescenti in piena turbolenza ormonale in una casetta tutta vetri da risposta al memorabile incipit di Scream. Poi, con un twist che sarebbe effettivamente piaciuto a Wes Craven, ecco lo scambio dei corpi fra il “Macellaio” e la virginale Millie Kessler, complice un rituale che, se non ripetuto entro 24 ore, renderà il cambio irrimediabilmente definitivo.

 

 

Scompaginate le carte di una situazione altrimenti tradizionalissima, lo smontaggio e rimontaggio dei codici può agilmente iniziare: si tratta in sostanza di far “cambiare pelle” allo stesso film, transitandolo dai consueti territori dell’horror adolescenziale a una sarabanda di ritmi sincopati da teen comedy, dove gli attacchi hanno la forza dirompente di gag scatenate. Ché in fondo il divertimento e la risata complice sono in effetti anche una parte integrante di queste storie, tanto per ribadire che di evoluzione e non di tradimento si tratta. Riecco quindi un’umanità che sta fra la pulsione assassina del killer e l’atteggiamento rinunciatario e succube di Millie. La protagonista viene infatti iscritta tra il lutto ancora vivo del padre scomparso, una madre soffocante che affoga la sua disperazione nell’alcool – come Ronee Blakley nel primo Nightmare – e una scuola che è il solito humus di bullismo e competizione sfrenata. Il “Macellaio”, dal canto suo, è il classico assassino da perfetto typecasting slasher, che esprime la sua violenza con il tipico armamentario di fallici coltelli e motoseghe con cui far prevalere la propria distorta visione da maschio alpha. Già perché, in fondo, in storie del genere la sessualità ha da sempre un suo valore fondante, fin dai classici in cui gli amanti venivano impalati a colpi di picche e machete, esprimendo una pulsione repressiva che era un tutt’uno con la visione tradizionalista dei valori da primo novecento (famiglie, sesso rigorosamente post matrimoniale, verginità come via di salvezza) che si andava a scontrare con lo svecchiamento delle coordinate narrative imposte dalla narrazione (e dalla società) moderna e post-moderna.

 

 

Oggi i tempi sono ancora cambiati, l’identità e il genere possono essere rimessi in discussione e disgiunti come accade nel film ai due avversari. D’altra parte, già gli originali Freaky Friday erano un pretesto per poter comprendere la vita dell’altro possedendone il corpo, qui il discorso è traslato al genere tutto, o meglio ai generi. Il pastiche di toni diventa così il corrispettivo di un’identità gender-fluid di cui il film si fa portatore, non solo “costringendo” il killer a giovarsi della bellezza ingannatrice della neo reginetta della scuola (ma altresì spingendolo/a a dover punire i bulli che vogliono abusare di lei); ma anche permettendo a Millie di capire cosa sia il potere insito nello status e nella consapevolezza della propria identità, naturalmente filtrata attraverso il corpaccione virile del killer. Le scelte di casting vanno di pari passo: se Millie trova un perfetto dualismo nella sensualità delicata di Kathryn Newton – quasi una “coazione a ripetere” della prima Amber Heard di All the Boys Love Mandy Lane – diventa geniale l’uso di un Vince Vaughn già avvezzo a mescolare parti serie ad altre più facete e che naturalmente rievoca la sensualità malata del Norman Bates di Psycho (versione Gus Van Sant naturalmente).

 

 

A fronte di un ribaltamento delle prospettive, non varranno dunque più le “regole” tradizionali, ma il loro contrario: la salvezza non arriverà da poliziotti, genitori o insegnanti (quanto mai detestabili, anzi!), l’horror si farà naturalmente comedy, mentre gli ambienti stereotipati con le camerette color confetto alla Bella in rosa saranno reinventati in interni dalle tonalità acide che sembrano la Hong Kong al neon di Godzilla vs Kong. Su tutto, però, valga il gioco dei/sui personaggi: “siamo una nera e un gay, moriremo sicuramente” afferma a un certo punto il Josh di Misha Osherovich, ma in realtà la chiave di salvezza viene affidata proprio a chi un tempo era subalterno, o a chi riesce a superare l’apparenza del corpo “di fuori” per afferrare l’identità che è dentro. Come in quel momento d’intimità fra Brooker/Uriah Shelton e Millie/Vince Vaugh, suggellato dallo stesso Landon con un tweet in cui rivendica d’imperio la nomination agli MTV Awards per il miglior bacio dell’annata.