Nasce dal progetto teatrale Cardboard Citizens (fondato nel 1991 da Adrian Jackson per coinvolgere dei senzatetto chiamati a esprimersi e comunicare attraverso il ricorso alle arti performative), Here for Life (in concorso nella sezione Cineasti del presente) di Andrea Luka Zimmerman e dello stesso Jackson. Dieci persone, un cane che adora tuffarsi in qualsiasi spazio contenga acqua, un cavallo portato in giro per le strade di Londra. Uomini e donne di età diverse si raccontano e mettono in scena. Sono persone che ebbero una vita normale prima di sprofondare ai margini della società. Furti, droga, prigione. Here for Life è un esempio notevole di cinema militante, partecipato. Zimmerman, oltre che regista, è un’artista e un’attivista culturale. Jackson ha una forte esperienza teatrale ed è una delle figure principali del Theatre of the Oppressed. Insieme, Zimmerman e Jackson hanno realizzato un’opera immersa negli spazi degradati di una Londra sotto l’effetto della gentrificazione. Illuminato da una luce opaca, Here for Life è un viaggio nel corso del quale si fa la conoscenza di un gruppo di persone che ‘dicono’ il loro dolore, la loro sofferenza, evocano fatti drammatici che hanno segnato le loro esistenze, compiono gesti e comportamenti talvolta sul filo dell’assurdo. I due cineasti danno loro spazio e tempo per ‘esibirsi’ da soli o insieme, perché di ‘esibizione’ si tratta, di necessità di esporsi ognuno con le proprie sensibilità e asprezze.
Parole, tante, molto spesso ripetute fino a diventare ‘musica’ (e la musica, le canzoni, il canto sono parte di loro), a trasformarsi in atto poetico, mentre una delle donne interviene, con un tono recitato, parlando dell’amore e dell’essere se stessi. Infatti, Here for Life è un film a più dimensioni, contiene vari livelli narrativi, radunandoli infine nelle scene conclusive. Si comprende così il senso delle immagini che interpuntano le loro testimonianze, quelle in cui, in un luogo indistinto e buio, si mettono in posa e recitano frasi o brani. Sono le prove dello spettacolo che questa piccola comunità rappresenterà all’aperto, in un posto zeppo di oggetti ammassati, di fronte a degli spettatori che, al termine dello spettacolo, dialogheranno e discuteranno con loro. Il teatro, l’esperimento collettivo, incontra il cinema, forme d’arte si intrecciano in un crescendo di intensità. Here for Life è un film altamente politico, a tratti un musical, che rende protagonisti degli individui che declinano il loro presente collettivamente. Si sentono, sono una comunità, e vogliono, a ogni costo, esserci, stare nel mondo con la loro profonda umanità. Come nella scena del barbecue nel cortile, anch’esso pieno di oggetti, di una casa: tutti uniti a cucinare e mangiare, e poi ballare. Gesto, quello del danzare, che torna alla fine. Due di loro ballano in quello che sembra un post-finale che fa venire in mente la fine di Qualcosa di travolgente di Jonathan Demme. E ancora, sui titoli di coda, due degli uomini corrono e ballano nudi in un prato. Energia e libertà che non vogliono arrendersi alle avversità del passato e del quotidiano.