Nel cuore nero dell’America: Homegrown, di Michael Premo alla SIC di Venezia81

Autentico cinema nel suo farsi, quello mostrato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia81 con Homegrown, di Michael Premo. Il progetto del documentarista americano, pensato poco prima della pandemia e portato avanti lungo un quinquennio, nasce infatti con l’intento di raccontare i movimenti di estrema destra americani (in particolare i suprematisti Proud Boys) seguendo tre dei loro adepti: Chris Quaglin, condannato poi a 12 anni di carcere per i fatti di Capitol Hill, Thad Cisneros, esponente di un tentativo più “moderato” di mediazione con Black Lives Matter e per questo infine espulso dal movimento, e Randy Ireland, ex militare americano. Il punto di vista cerca di essere oggettivo nell’illustrare le contraddittorie motivazioni dei militanti, il loro fervore nell’aderire ai cortei in favore della rielezione di Donald Trump nel 2020, ma ugualmente immerso totalmente nelle loro iniziative, fino a ritrovarsi sulla porta del Campidoglio durante il già citato assalto. Da questo versante, Premo si ritrova a gestire un materiale incandescente che, partendo da quello che sembra un movimento residuale diventa un’onda di cui cerca di restituire l’ampiezza, tra podcast ultra conservatori che soffiano sul fuoco, comizi del candidato presidenziale e mass media apertamente populisti. Il tutto mentre la situazione conduce a conseguenze estreme che sicuramente non potevano essere previste nelle intenzioni iniziali. Da questo versante la materia è tanto più ampia quanto è pervicace la focalizzazione a restare sui tre personaggi, in modo da dare un volto a chi, nella follia generale, ha costruito la deriva.

 

 

In virtù di questa scelta, la parte strettamente politica e elettorale resta maggiormente sullo sfondo, così come i gruppi più organizzati, mentre si resta sul vissuto dei personaggi che si autofinanziano, lasciando emergere le contraddizioni di chi si riconosce come un buon padre di famiglia e giura di agire per il bene dei figli, salvo poi cercare evidentemente l’ebbrezza del momento, trascurando chi a casa teme per le conseguenze folli delle sue azioni. Cercando costantemente il punto di rottura fra la logica semplicistica del peggior populismo e la riduzione della follia a uno scontro fra l’importanza dei presunti “valori” e il nichilismo istintivo di un approccio disinformato e dispregiativo verso il modello democratico, Homegrown compone un documento interessante e, pur nei limiti di una durata compressa, capace di afferrare i punti critici di una realtà che si tende generalmente a sottovalutare, salvo quando esplode con esiti inaspettati. Non c’è un reale commento ai fatti, quella che emerge è l’evidenza di un’umanità patetica e alla deriva, fomentata dalla logica del branco e dal desiderio di essere protagonista di una società vissuta come ingiusta ma che non si è mai realmente compresa nei suoi meccanismi. Il leitmotiv di Chris Quagley sul figlio che sta per nascere (su cui il film si apre, si chiude e che puntualmente ritorna in vari momenti) restituisce così la chiave di lettura più arguta: quelli che Premo racconta sono degli uomini che non hanno mai raggiunto l’età adulta (“Boys” appunto, e non “Men”) e che nello spregio democratico cercano di preservare la non-coscienza dell’infanzia. Dalla banalità del male all’infantilizzazione del mondo i risultati possono comunque essere spaventosi.