Suddiviso in capitoli che portano i nomi dei principali personaggi della storia, Only the Animals – Storie di spiriti amanti, settimo film di Dominik Moll, è un intrigante thriller che ruota attorno alla sparizione di una donna e che mostra da diverse angolazioni come le varie tessere si compongono per arrivare a costruire il puzzle che porterà alla soluzione (a vantaggio dello spettatore, non necessariamente dei personaggi). Dopo un prologo apparentemente fuori contesto ad Abijan con un ragazzo in bicicletta che porta sulle spalle, a mo’ di zainetto, una capretta, il paesaggio cambia e si passa alla neve del Causse, l’altopiano carsico del Massiccio Centrale francese. È qui che si svolge la maggior parte dell’intrigo per poi tornare dove tutto era iniziato. Sul Causse agiscono, e in parte interagiscono, Alice (Laure Calamy), assistente sociale che con la sua auto si sposta da una fattoria all’altra per aiutare le persone anziane nelle pratiche amministrative. La donna ha una relazione extraconiugale con Joseph (Damien Bonnard), agricoltore che vive da solo dopo la morte della madre («Parlo solo con le mie bestie e il mio cane»). Suo marito Michel (Denis Ménochet), sempre irritabile e apparentemente impegnato con la contabilità dell’azienda di famiglia, è consapevole del tradimento di Alice, ma anche lui ha i suoi scheletri nell’armadio.
Su tutto aleggia la sparizione di Evelyn Ducal (Valeria Bruni Tedeschi), parigina che ha il suo buen retiro in zona: Guillaume, il marito non sa dare spiegazioni, Cédric (Bastien Bouillon), il poliziotto del posto, va in giro a fare domande, ma l’indagine arranca, non ci sono testimoni «solo pettegolezzi senza interesse». Sul posto arriva anche Marion (Nadia Tereszkiewicz), giovane cameriera di Sète, che dopo aver passato un paio di notti di passione con Evelyne, si è innamorata di lei. Ogni personaggio aggiunge un tassello alla comprensione dell’enigma con scene che si ripetono inquadrate da una diversa angolazione per svelare particolari fondamentali. Nell’intreccio solo gli animali, testimoni loro malgrado, sembrano sapere come sono andate veramente le cose: capre, vacche, un cane – messo a tacere per sempre perché ha visto ciò che non doveva -, non i personaggi che vengono abbandonati al loro destino e che, per forza di cose, hanno una visione parziale della vicenda. Lo spettatore viene invece a trovarsi in una posizione privilegiata, onnisciente, e il mistero a poco a poco si dipana. A contare, però, più che l’epilogo, sono i personaggi, tutti alla disperata ricerca di un’illusione di felicità. Moll adatta l’omonimo romanzo di Colin Niel e realizza un film corale dalla costruzione impeccabile che ha come modello alto Babel di Iñárritu: tutto alla fine trova una quadra – anche se il risarcimento finale, un po’ moralistico, appare un po’ tirato per i capelli -, l’attenzione è costante grazie anche a paesaggi poco frequentati e alla bravura degli interpreti (oltre alle sempre notevoli Bruni Tedeschi e Calamy, l’asociale Bonnard e soprattutto il tormentato Ménochet, già apprezzato in L’affido di Xavier Legrand).