In questi mesi anomali per tutti, a maggior ragione probabilmente per il mercato cinematografico, Movies Inspired ha deciso di distribuire alcuni titoli restaurati diretti da Jim Jarmusch. Una scelta quanto mai gradita per tutti noi amanti del regista statunitense, ma soprattutto una scelta che ci piace pensare essere basata su un gioco di parole sottile ma efficace. I titoli (ri)portati in sala in questi giorni sono tra i lavori più giovanili dell’autore. Alcuni dei veri e propri cult (Daunbailò o Dead Man), altri delle gemme nascoste che solamente i più appassionati avranno avuto modo di recuperare (Stranger Than Paradise o Mystery Train). Film diversi tra loro e con tanti, tantissimi spunti da affrontare anche singolarmente. Eppure, provando ad analizzarli nell’insieme in occasione proprio di questa loro “seconda vita cinematografica”, è interessante notare come si tratti di lavori che abbiano in qualche modo condotto un’idea ben precisa di restauro. (In apertura un’immagine tratta da Mystery Train).
Recentemente, il cinema di Jarmusch si sta concentrando in maniera ben più evidente e consapevole sull’esistenza umana, sugli emarginati, sull’alienazione e il senso di appartenenza a una società che diventa croce e delizia dei protagonisti (si pensi a Paterson, Solo gli amanti sopravvivono o Broken Flowers). Eppure agli inizi del suo percorso è come se il regista avesse concentrato la sua attenzione più sull’aspetto geografico, urbano, delle sue storie. Quasi come se avesse iniziato a costruire un mondo dentro il quale, successivamente, indagare gli abitanti.
Ecco allora che le città impresse su pellicola in questi lavori, sono città restaurate dall’occhio di Jarmusch. In Permanent Vacation è quasi impossibile riconoscervi New York che infatti viene dipinta come una sorta di limbo, sospeso in una dimensione temporale e spaziale completamente autonoma. La medesima bolla, a livello topografico, nella quale saranno costrette le personalità dei personaggi di lì a venire.
E sempre di città rivisitate possiamo parlare anche in Mystery Train un film che, come viene ricordato dal sottotitolo di lancio, si svolge a Memphis, una città fantasma che per metonimia diventa il simbolo perfetto di un’America non più così solida. La città restituisce infatti perfettamente i valori illusori di una società attraente, internazionale e basata su un passato glorioso del quale però non restano che vacui ricordi.
Città che sono anche al centro del “viaggio” (se così possiamo chiamarlo) di Taxisti di notte, un film a episodi che decostruisce la geografia mondiale per condurci (in auto) nel cuore di New York, Los Angeles, Parigi, Roma e Helsinki. Seguendo una scansione temporale ben precisa, dal tramonto all’alba (come nel film di Rodriguez), cinque microcosmi, cinque culture differenti, cinque metropoli vengono nuovamente restaurate da Jarmusch, che le osserva dal finestrino di un’auto, le attraversa, le vive per provare a restituirle nella loro natura quotidiana invece che nella cartolinesca apparenza turistica. Un viaggio alla ricerca dell’essenza più pura che trova in Dead Man il fiore all’occhiello finale. Dove la relazione tra spazio e individuo diventa una prerogativa fondante anche da un punto di vista cinematografico (nel genere western è uno dei temi principali). In molti vedono la pellicola come il capolavoro del regista, sicuramente ne è lo spartiacque di carriera. L’anello di congiunzione tra lo spazio dell’uomo e quello dell’anima. Dead Man, appunto.