Quel giorno tu sarai e il trauma della memoria secondo Kornél Mundruczó

Dopo Pieces of a Woman il regista ungherese Kornél Mundruczó torna a dirigere un film personale, tratto da una piéce teatrale e con Martin Scorsese nelle vesti di produttore esecutivo. Quel giorno tu sarai è la trasposizione cinematografica di un’opera che metteva in scena le vicende personali della madre ungherese di Kata Wéber, sceneggiatrice del film, suddividendo l’azione in tre episodi, a testimonianza dell’evoluzione (Evolution è il titolo originale del film) della memoria e della percezione stessa dell’Olocausto. L’inizio è silenzioso e cupo. Nell’episodio dal titolo Eva veniamo catapultati nella densità emotiva di un luogo tragico: in una camera a gas di Auschwitz, nel gennaio del 1945, alcuni addetti alla pulizia cercano di togliere le macchie recenti di quello che è stato, ma dalle pareti e dai tubi appesi al soffitto affiorano capelli neri a formare grovigli infiniti, corde spesse che subito conferiscono al racconto il tono grave ad un film riflessivo e chiuso in una dimensione claustrofobica. Neppure il ritrovamento di una bambina accucciata in un tombino, riesce ad aprire le immagini verso la speranza, perché il cielo, al di fuori, tra le baracche, è minaccioso, plumbeo e fisicamente opprimente, come se non si respirasse più l’aria degli uomini in questo luogo che di umano ha conservato solo le tracce.

 

 

Mundruczó si sottrae immediatamente all’idea tradizionale di memoria. Troppi e troppo vivi i conflitti che ancora
restano sotto l’apparente normalità. Non si tratta di ricordare il passato per non ricadere in quegli errori e neppure di celebrare il ricordo di chi è stato ucciso. Si tratta di domandarsi ancora e per sempre come gestire quegli eventi, che collocazione dare loro, senza che diventino rituali svuotati di senso, gesti e parole tramandate lungo tre generazioni che ancora feriscono e bloccano le esistenze. Non solo per Eva, che in un campo di concentramento è nata. Anche per la figlia Lena, che non ha subìto l’Olocausto ma si è dovuta difendere dall’antisemitismo ungherese del dopoguerra, e per il nipote adolescente Jonas, ai giorni nostri, in una Berlino attraversata da sottili e più ampie intolleranze razziali. Pone molti interrogativi senza offrire risposte, questo film, che predilige il piano sequenza (il secondo episodio è costruito da una sola inquadratura di 36 minuti) come fosse un viaggio senza respiro nella sopravvivenza dei suoi personaggi. Continue connessioni tra i piani temporali aiutano lo spettatore a costruire l’affresco di un contesto più ampio e complesso, perché non è il tributo alla memoria lo scopo del regista ungherese, ma la possibilità di conviverci, di filmarla, di tradurla in immagini e, infine, di tramandarla. La memoria, che ha a che fare con l’identità individuale, dei popoli e delle generazioni, è parola viva e vibrante. Scorre nel tempo e attraversa le coscienze, ma può esplodere in un improvviso rigurgito, come l’acqua che irrompe dagli armadietti e dalle pareti della casa dell’ottantenne Eva, alla fine di un racconto straziante e tesissimo sulla sua vita e sulle ipocrisie che l’hanno perseguitata. E non a caso il terzo episodio si apre con il fuoco, un incendio scoppiato nella scuola di Jonas per motivi che gli insegnanti vogliono tenere sfumati.“Con Quel giorno tu sarai  – dice Martin Scorsese Kornél Mundruczó e Kata Wébe trovano un modo per drammatizzare il movimento del tempo stesso, i modi in cui ricordiamo e i modi in cui dimentichiamo. Guarda direttamente in faccia a realtà davvero inquietanti in un modo nuovo ed eccitante, persino liberatorio”