Sicari disumani ma non troppo: a Venezia81 Wolfs, di Jon Watts

Il nostro protagonista è l’uomo da chiamare quando c’è da ripulire la scena di un crimine, un po’ come il Mr. Wolf di Le iene, tanto per essere chiari. Stanotte è entrato in azione perché un’integerrima procuratrice si è voluta concedere una notte di passione, ma non è finita bene e c’è da evitare lo scandalo. Anche l’hotel ci tiene al suo buon nome, però, e così la direttrice convoca sulla scena un rivale, un secondo uomo che “risolve problemi” di cui il nostro non sospettava nemmeno l’esistenza. Si basa su questo accostamento improbabile e spiazzante Wolfs (a proposito di riferimenti tarantiniani), con cui Jon Watts abbandona finalmente i territori Marvel per tornare alle formule del thriller ironico del fortunato Cop Car. Nel film, presentato fuori concorso a Venezia 81, i due ripulitori sono George Clooney e Brad Pitt, che da soli bastano a tarare il tono ironico di un racconto sornione, pur nell’intrigo di una vicenda che riserverà qualche sorpresa. Prima fra tutte il fatto che il morto è in realtà vivo, con tutta la fisicità scattante e un certo candore con cui affronta la complicata situazione. Già perché di mezzo c’è pure un carico di droga da consegnare al malavitoso di turno senza che lo scandalo diventi un regolamento di conti. L’immersione nella notte newyorkese è ossequiata attraverso una visualità orizzontale, con lunghe carrellate che si snodano lungo le strade e costringono i due protagonisti a una perenne equidistanza esplicitata dalla reciproca diffidenza. I due, in pratica, devono collaborare per uscir fuori dall’empasse in cui si sono loro malgrado ritrovati, ma non hanno nessuna intenzione di fare squadra, sia per la reputazione che il loro lavoro richiede, sia perché lo scontro larvatamente generazionale (uno dei due è chiaramente più grande dell’altro) suggerisce una competizione dove è meglio non rivelare troppo le proprie carte.

 

 
La densità materica della geografia metropolitana si colora di una ironia diffusa ma mai deflagrante, tarata sul gigionismo dei due interpreti, forse anche poco credibili nel ruolo dei sicari, ma efficaci nel dar vita a una morbida rivalità in grado di mantenere costante il sottotesto paradossale e spiritoso dell’assunto, pur non dispendendone la cifra puramente noir data dall’ingegnoso intreccio. In breve l’alleanza che giocoforza si dovrà stabilire, cerca di esplicitare l’intento abbastanza iconoclasta caro al regista: se in Cop Car si faceva beffe di un poliziotto violento, qui i ripulitori abbandonano ben presto l’aura maudit alla Frank Costello per riacquistare progressivamente un po’ della loro umanità, prendendo a cuore le sorti di quel ragazzo che pure li ha cacciati nei guai. Il gioco divistico per fortuna non stanca, anche se i comprimari non stanno a guardare: il terzo incomodo di uno scatenato Austin Abrams in più di una occasione ruba persino la scena ai due primattori, e c’è pure il grande Zlatko Buric della trilogia di Pusher a far la parte di un boss croato da cui entrambi devono vedersela, mentre la procuratrice è Amy Ryan, che ha lavorato con Spielberg, Egoyan, Inarritu e Ari Aster. Nomi importanti al servizio di un Jon Watts che scrive, dirige e produce: non avrà le carte dell’autore ma è forse il buon director professionale in grado di comporre dignitosi prodotti medi di cui si inizia a sentire parecchio il bisogno nella Hollywood degli yes man.