Sognando l’Australia: The Surfer, di Lorcan Finnegan al BIFFF43

C’è un dentro e un fuori, rappresentato da una spiaggia in una località di villeggiatura australiana, dove alle spalle domina un paesaggio sormontato di villette mentre sulle onde si pratica il surf come rito di affermazione identitaria. Poter accedere alla spiaggia implica l’inserimento in quella comunità, che il nostro protagonista brama perché segna per lui un ritorno alle origini, ma anche un fare i conti con un retaggio abbandonato dopo gli anni passati in America. Un tempo ci avremmo visto volentieri un Mel Gibson nel ruolo, oggi a tirare le fila di questo The Surfer, quarta regia di Lorcan Finnegan, c’è Nicolas Cage, che porta naturalmente in dose proprio quel senso di dentro e fuori che si citava, di estraneità endemica al contesto anche quando è organico allo stesso. Presentato a Cannes e poi transitato attraverso vari festival – la nostra visione arriva dal BIFFF43 di Bruxelles – il film mette così in scena una prigionia autoindotta da un personaggio che si vede negare l’accesso alla spiaggia del surf insieme al figlio da un gruppo di bagnanti legati a Scally, una sorta di santone del machismo (Julian McMahon, che gioca un po’ con la sua passata caratterizzazione da Dottor Destino dei Fantastici 4). Potrebbe a quel punto lasciar perdere le angherie del caso e fare marcia indietro, ma si installa invece sul posto iniziando un’autentica discesa nel degrado che appare una sorta di risposta “acquatica” all’Outback di un Wake in Fright. Parallelo non casuale perché lo sguardo ancora una volta dentro e fuori la cultura australiana (Wake era diretto dal canadese Ted Kotcheff, appena scomparso,  qui c’è l’irlandese Finnegan) gioca un ruolo peculiare nella dinamica sugli stereotipi che si vuole innescare. Se lo Scally di McMahon accende infatti una dialettica con il sempiterno ideale dell’australiano rozzo che mutatis mutandis è diventato un simbolo identitario d’Oceania (pensiamo in differente declinazione a Mr. Crocodile Dundee), Finnegan lo utilizza quale iconografia di appartenenza che si oppone all’indefinito “Surfer” di Cage.

 

 

Il film in questo modo abbraccia il caos percettivo del protagonista e scivola in una indeterminatezza spaziale e temporale che livella il passato, il presente e il futuro dell’uomo, dando la sensazione di essere finiti in un loop temporale in cui le azioni si ripetono: il degrado di Cage/Surfer si rispecchia infatti tanto in quello del padre di cui scopriremo il destino poco a poco, quanto in quello di un homeless che pure staziona in quei luoghi meditando vendetta verso il destino che ha subito da Scally. In questo modo, The Surfer, assume una caratura ossessiva e visionaria in cui la stupidità apparente del protagonista diventa il sintomo di una prigionia interiore e esteriore da cui è impossibile fuggire e che il film ossequia con un tono grottesco, capace di scivolare senza soluzione di continuità fra l’ironia e il dramma, tra l’orrore e il senso panico di una natura ostile. Perché da un lato c’è la caratura irridente di un mondo che disprezza quell’avventore folle, dall’altro l’empatia per la sua frustrazione di voler ritrovare un’identità nell’appartenenza a un luogo, ma anche a una famiglia, sintetizzata dal sogno di ricomprare la casa paterna sulla collina in cui portare il figlio che un divorzio gli sta strappando dalle mani. Punto di forza dell’intera narrazione è la natura fantasmatica che porta in certi passaggi a pensare che forse sia tutto un sogno, una visione del protagonista scatenata dai suoi desideri irrisolti. Non sveliamo come andrà a finire, se non che tutto resterà come sempre dentro e fuori i confini descritti.
 
The Surfer sul sito del BIFFF 43