Squarci di salvezza: The Breaking Ice di Anthony Chen

C’è sempre uno spiraglio di luminosità che avvolge il cinema del singaporiano Anthony Chen, come se lo sguardo sull’oggi tenesse conto di una possibilità di apertura verso il domani, nonostante tutto. Come se fosse inevitabile immaginare un mondo, altrove, diverso, magari meno doloroso con squarci di salvezza. Un aspetto limpido già nel suo esordio Illo Illo del 2013 (Camera d’Or a Cannes), film che, attraverso il racconto familiare immerso nel collasso finanziario asiatico del 1997, rifletteva la condizione attuale dell’Occidente intrappolato nelle sue crisi, complesse, indecifrabili, enormi. Con Wet Season, film ciclico di monsoni e crisi affettive, e successivamente con Drift, sulla figura di una migrante liberiana in terra greca, Chen si è contraddistinto per la capacità di mettere a fuoco distanze e confini, contraddizioni, opportunità e limiti del vivere umano misurando le emozioni, i legami sentimentali, osservando il viaggio interiore dell’uomo aperto alla scoperta. Così The Breaking Ice, primo film di Chen girato in Cina e in lingua cinese, esplora luoghi e desideri, ricordi e aspettative che si riferiscono non solo allo sguardo dei personaggi ma riflettono una più ampia intenzione descrittiva dei tempi che cambiano. Dal maestoso monte Changbai fino al cuore del mistero di un amore maestoso.

 

 
Neve, freddo, ghiaccio. L’inverno della vita. Tre solitudini che guardano nella neve e vedono la propria sospensione al vivere: Haofeng, Nana e Xiao. Il caso sembra averli uniti. Haofeng arriva a Yanji per un matrimonio. Incontra due perfetti sconosciuti, epifania di un’alterità che si accoglie o si respinge, anime dolenti e complicate che, proprio come Haofeng, sentono forte l’esigenza di sentirsi vivi, respirare aria nuova, esistere. Di cosa hanno bisogno queste tre storie ancora da scrivere? Cosa può fare per loro il tempo? Cosa deve accadere prima che un’estraneità si trasformi in intimità? Quale è il confine tra amicizia e amore? Cosa c’è oltre la neve e sotto il ghiaccio?
Chen traduce la crisi della solitudine e delle inquietudini dei suoi giovani disperati attraverso un ménage à trois che inevitabilmente prende ispirazione da Truffaut e in particolare da Jules e Jim (almeno per quanto riguarda la struttura dell’intrigo amoroso) ma spinge il film in una direzione sospesa, che si lascia interpellare dagli spazi, dagli oggetti, dai luoghi, dalle luci e dai colori, fattori che restituiscono densità e spessore, un’anima spezzata, al vissuto dei suoi protagonisti. Chen è poi capace di dialogare con lo spettatore alimentando un confronto tra dentro/fuori, aperto/chiuso, libertà/prigione, elementi opposti che qualificano non solo le singole vicende di Haofeng, Nana e Xiao ma restituiscono la visione di un modo di stare al mondo, di una sovrapposizione di strade interrotte che non smettono di cercare un senso. Incroci, convergenze sentimentali, atmosfere rarefatte e controllo razionale per ogni dettaglio alimentano un film che vuole fissare lo sguardo su divagazioni e sospensioni di giudizio, domande esistenziali che riguardano ciascun soggetto attento alla trasformazione, dolorosamente consapevole di essere vittima di una grandezza inavvertibile e schiacciante.

 

 
Chen ha dichiarato: «The Breaking Ice è nato perché, dopo due anni di isolamento durante la pandemia, sentivo l’urgenza di girare un film: stavo vivendo un’enorme crisi d’identità e avevo bisogno di “esistere” di nuovo. Come uomo e come regista. Come regista, volevo liberarmi dalle mie vecchie abitudini e volevo sfidare me stesso, uscendo dalla comfort zone. Cinematografica ma anche geografica: Yanji è uno dei luoghi più freddi della Cina e non c’ero mai stato prima. La mia intenzione era quella di intercettare lo spirito dei giovani cinesi di oggi e spero che il risultato finale risulti liberatorio quanto lo è stato il processo di realizzazione. È un film che ho realizzato in brevissimo tempo, dall’ideazione al completamento: l’impresa più folle in cui mi sia imbarcato da parecchi anni a questa parte. È stato un atto di fede per tutti noi. Un’avventura davvero selvaggia in un luogo davvero gelido!». Un cinema di opposizioni e contrasti che si attraggono nel tentativo di colmare un vuoto grande.