Cosa cogliere se non ciò che ci sfugge
Cosa vedere se non ciò che si oscura
Cosa desiderare se non ciò che muore, che parla e si lacera
(Yves Bonnefoy, Du mouvement et de l’immobilité de Douve, 1963)
Chi accompagna, lungo il percorso di formazione, le persone che per professione, se non per vocazione, cureranno gli altri? Con In ogni istante il documentarista Nicolas Philibert (Nel paese dei sordi, Essere e avere, La maison de la radio) punta la sua macchina da presa e il suo metodo paziente e ostinato direttamente dentro le aule del corso di infermieristica dell’IFPS (Fondation Oeuvre de la Croix Saint-Simon) di Montreuil, nella regione di Île-de-France. Un corso triennale di studi, composto di tre classi di novanta studenti ognuna, durante il quale ogni aspirante infermiere ha l’obbligo di completare sei tirocini, uno per semestre, in aree definite: dai reparti ospedalieri alle strutture psichiatriche o di cura degli anziani. Tra lezioni in aula, pratica nei laboratori e stage nei reparti, il veterano Philibert segue i corsisti mentre sono impegnati a recepire e far proprio un corposo bagaglio di nozioni teoriche e abilità pratiche. La sua è un’osservazione molto serrata di un collettivo che procede verso l’emancipazione. Non ci sono protagonisti tra i giovani tirocinanti, piuttosto in primo piano è la crescita umana, la presa di consapevolezza di classi fortemente multiculturali. Con una significativa prevalenza femminile (la media francese di infermieri maschi è il 12%). Ricoverato per un’embolia nel 2016 e una volta uscito dalla terapia intensiva, Philibert ha voluto realizzare il film (presentato Fuori concorso a Locarno nel 2018, dal 1 giugno 2020 disponibile qui: http://wantedcinema.eu/wantedzone/ anche mercoledì 3 alle 11 e alle 21) come un riconoscimento alla categoria degli infermieri. Senza nessun artificio, cornice o commento musicale, In ogni istante entra subito in medias res, si consolida come un’ininterrotta serie di inquadrature fisse di colloqui tra supervisori o docenti e studenti e si scava uno spazio e un ruolo percepibile e partecipe in mezzo a loro. Coglie non solo il passaggio continuo di competenze tecniche e psicologiche, ma il gratificante processo relazionale tra insegnanti e allievi, in uno scambio umano che solo un’osservazione prolungata e ripetitiva può far scaturire al montaggio, fase anche questa curata meticolosamente da Philibert.
Le azioni apparentemente ordinarie di cura sono frutto di una millimetrica routine di prova, errore e ripetizione fino al raggiungimento perfetto del compito. I protocolli igienici (le sette fasi del lavaggio delle mani, più una verifica automatizzata, sono l’incipit che lascia senza parole) si fanno immagine del rispetto per l’altro. E simultaneamente edificano le basi della persona curante, costituiscono l’essenza e il gesto automatico di chi diventa consapevole della propria missione e perizia e della necessità assoluta e continua di sicurezza, protezione, fiducia. Se l’incontro con la pratica di stage è uno choc a sé stante, tra le difficoltà dell’inserimento in staff già strutturati, personale sottodimensionato e livello di stress da efficienza richiesta, l’ultimo dei tre capitoli in cui è suddiviso In ogni istante (scanditi dai versi riportati qui sopra) è il decisivo momento della valutazione esterna e dell’autocritica sull’esperienza condotta, del confronto tra le aspettative dei neostudenti e le scoperte e acquisizioni soprattutto emotive. È qui che il punto di vista di chi cura e di chi è curato trovano un bilanciamento affascinante, in un rispecchiamento che apre democraticamente l’immedesimazione ad ogni pubblico. Il campo / controcampo è la soluzione più logica e semplice ma anche la più efficace e naturale, all’interno di un’idea di cinema che aspira al nocciolo più duro della realtà e ne rifiuta una rappresentazione edulcorata. Non si riflette mai abbastanza sul punto di vista di chi per lavoro sa di dover dare costantemente attenzione, ascolto, efficienza, igiene. Di dover essere preparato a gestire paura, trascuratezza, ignoranza, depressione, rifiuto della guarigione, delle cure. Ad accettare anche la reale possibilità che queste non abbiano effetto, nella libera scelta delle persone. In extremis, anche la morte del paziente. Tematiche senza tempo, ma che il 2020 ha riportato all’attenzione sensibile di ogni comunità sul pianeta. E che In questo istante cattura, sintetizza e mette al sicuro, in un poema di relazione nella cura destinato a restare.