Attilio Nicoli Cristiani: le tante teste di Danae Festival

Da diciannove anni Danae Festival è un punto di riferimento per le arti performative. Nel tempo è cresciuto diventanto sempre più un luogo di scoperta delle nuove tendenze e di incontro che coinvolge la città di Milano, in spazi inediti, grazie anche a una rete di collaborazioni con altre realtà teatrali. L’edizione 2017 ha avuto un’anteprima nel mese di settembre con Guerrilla del collettivo catalano El Conde de Torrefiel, ma il suo momento di massimo splendore sono i giorni del festival (24 ottobre – 12 novembre): 19 le compagnie ospiti, di cui 6 straniere, altrettanti spettacoli (di cui 5 prime nazionali). E ancora workshop, lectio magistralis, residenze artistiche, incontri con le scuole. Ne abbiamo parlato con Attilio Nicoli Cristiani che, con Alessandra De Santis, è il direttore artistico di Danae.

 

Un’evoluzione costante per Danae…

Quando ci pensiamo, siamo noi i primi a rimanere increduli perché quando abbiamo cominciato non c’era un progetto a lungo termine, la nostra era semplicemente la risposta a un’urgenza che sentivamo. Nel corso del tempo ci sono state tante trasformazioni e anche degli ampliamenti. Ora il Festival è giunto a una sua forma che continua a essere in evoluzione, ma di cui siamo soddisfatti. L’incontro con il pubblico, gli artisti, il dialogo con la città sono tanti aspetti importanti e il momento del Festival ci permette di dare un seguito a tutta una serie di necessità che sentiamo forti nel nostro lavoro.

 

Il coinvolgimento della città riguarda luoghi del tutto inaspettati.

Sì, perché ci piace andare a invadere uno spazio non adibito all’arte performativa come per esempio è il caso quest’anno del Parco Nord. L’11 e 12 novembre Trophée degli svizzeri Rudi van der Merwe e Béatrice Graf, una performance di danza per spazi aperti, si terrà proprio lì perché è uno spettacolo che ha quel tipo di richieste di paesaggio e di location. Ma poi c’è sempre un dialogo che si instaura perché non andiamo solamente a occupare, ma in genere troviamo anche dei referenti incuriositi e aperti alla collaborazione.

Trophée

Dialogo che avete aperto anche con altri teatri di Milano.

Oltre a coinvolgere spazi che nel loro Dna presentano spettacoli, quindi sono già pensati per questo, è stato interessante attivare con loro un progetto. Per esempio con il DidStudio con cui abbiamo ragionato sulla sezione dedicata alla danza elvetica, oppure con Zona K che collabora con noi fin dalla sua nascita, o ancora la O’ che, invece, è lo spazio dedicato alla ricerca e alle sperimentazioni sonore che ogni anno segue un progetto specifico su un artista. Quest’anno è successo con Peter Cusack che ha tenuto anche un interessante workshop. C’è una condivisione su più livelli, non solo dei luoghi, ma anche di pensiero e di progetto. E questa è un’altra delle evoluzioni di Danae: tante teste che pensano e progettano e ci lavorano intorno, non solo noi che lo abbiamo inventato e creato.

 

Unire le forze può essere una risposta alla perenne mancanza di fondi del teatro?

Sicuramente. Per esempio quest’anno la triangolazione Danae, Zona K, Teatro dell’Arte ha permesso di realizzare il progetto Guerrilla che non poteva essere fatto nel periodo del Festival quindi c’è stata una sorta di anteprima. Abbiamo lavorato a un progetto complesso che prevedeva il reclutamento di ottanta persone in città. Anche dal punto di vista economico c’è stata una divisione in tre parti per riuscire a gestire un progetto che magari singolarmente nessuno dei tre avrebbe gestito con facilità. Per me è anche un importante messaggio perché sono tre realtà del contemporaneo a Milano – che si occupano dell’arte performativa oggi e che sono molto orientate su nuovi linguaggi – che si mettono insieme e collaborano per portare, e offrire alla città, una compagnia internazionale con un progetto particolare.

La metamorfosi

 

Novità di questa edizione è l’apertura alle scuole. Come siete riusciti a coinvolgerle?

È stato possibile grazie alla presenza al Festival di Città di Ebla, compagnia con sede a Forlì che, nel corso degli anni, attraverso il lavoro su La metamorfosi di Kafka, ha attivato un lavoro con i licei. Siccome lo spettacolo non era mai venuto a Milano, abbiamo deciso di aprire questo canale di comunicazione con le scuole. Non è stato semplice, ma alla fine ci siamo riusciti ed è stata una felice esperienza. Claudio Angelini ha incontrato le classi una settimana prima per parlare di teatro, di come si lavora a partire da un testo… È stata un’occasione di dialogo e di confronto a cui i ragazzi hanno partecipato con interesse, come si è visto anche dal dibattito dopo lo spettacolo che ha coinvolto anche gli spettatori.

 

Al centro della vostra proposta c’è la contaminazione dei generi.

Il segno del Festival è proprio quello dei linguaggi, del mescolare, ibridare i codici e non trovarsi di fronte a spettacoli di prosa o di danza di tipo canonico. Dopo la prima parte più dedicata alla prosa, la seconda settimana del Festival è più incentrata sulla danza, con il focus elvetico, ma anche con un bello spaccato di quello che si sta muovendo nel panorama italiano, soprattutto con uno sguardo molto attento alle generazioni emergenti.

 

Cosa ci aspetta in questi giorni?

Se sentir vivant / Canto primo

Domenica 5 c’è Yasmine Hugonnet, uno dei nomi di punta di questa edizione. Lo scorso anno è stata alla Biennale Danza ed è una vera e pura ricercatrice nei termini dell’indagine sulle potenzialità espressive del corpo che fa attraverso se stessa (infatti in scena c’è lei). È un’artista che lavora a un livello così profondo da andare ad affrontare zone del proprio corpo sorprendenti. L’ultimissima sua ricerca si è focalizzata sul luogo dove ha origine il suono, quindi la voce. Per fare questo ha studiato e si è immersa nel mondo della ventriloquia per cercare di trovare anche un’armonia o una disarmonia tra il movimento e il suono. Quello che accade è un virtuosismo sorprendente che arriva a un livello di potenzialità che lascia stupiti, sia a livello di movimento facciale che di percezione del suono. In Se sentir vivant / Canto primo usa il primo canto della Divina Commedia: questa voce che viene da dentro il corpo declama in italiano, francese, inglese i versi di Dante. Utilizza tecniche elaborate mentre il corpo sta compiendo una serie di azioni, a volte in parallelo dell’armonia vocale, altre in direzioni opposte.

 

E per quanto riguarda gli artisti italiani?

Martedì 7 ci sono Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi, coppia che arriva dalla Stoa diretta da Claudia Castellucci. Hanno intrapreso percorsi autonomi e hanno formazioni individuali non solo collegate alla coreografia, ma anche alla videoarte e al cinema, quindi con un altro tipo di relazione con la scena. Sono autori e interpreti di Le jardin dove, in uno spazio asettico e vuoto attraverso dei movimenti e una ritmica, quasi una sorta di tip tap contemporaneo, ricostruiscono una serie di ambienti immaginari che richiamano l’idea di giardino. C’è poi un doppio incontro con Francesca Foscarini, danzatrice che lavora più all’estero che in Italia: Grandmother (9/11), un assolo, e l’ultimissimo suo lavoro Vocazione all’asimmetria (10/11) in cui è in scena insieme a un altro danzatore, Andrea Costanzo Martini.

Vocazione all’asimmetria

 Ci sono anche dei ritorni…

Sì, torna Silvia Gribaudi dopo l’incontro felicissimo avvenuto l’anno scorso, quando le avevamo dedicato una mini personale. La sua è una danza molto gioiosa, ironica, che lavora sul corpo inteso come corpo diverso dai canoni che noi riconosciamo nel mondo della danza. Lei stessa ha un corpo abbondante con cui gioca, lo fa danzare, ha un rapporto molto sereno con se stessa e con l’espressività del proprio corpo e, infatti, lo spettacolo si intitola Corpo libero.

 

E per finire?

Sabato 11 novembre chiudiamo con un altro nome tutto da scoprire perché muove i primi passi come autore ed è Francesco Michele Laterza con Acquafuocofuochissimo (foto in apertura, ndr). È un artista che lavora nell’ambito del teatro danza, in una zona di puro confine tra i due, dove il tema è quello dell’identità maschile. Attraverso quattro performer mette in gioco il maschile, divertendosi a giocare sui suoi cliché, sul travestimento e la continua trasformazione e rimessa in discussione di quella che è l’identità maschile.

 

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