A Locarno69 Yousry Nasrallah attraversa i generi e ci regala un capolavoro

33333Guarda al cinema popolare egiziano, alle storie corali ambientate in un quartiere che diviene città-mondo, il nuovo capolavoro di Yousry Nasrallah Al Ma’ wal Khodra wal Wajh El Hassan (Brooks, Meadows and Lovely Faces – nel concorso internazionale del Festival di Locarno, la cui giuria è presieduta dal cineasta messicano Arturo Ripstein, maestro del melodramma grondante orrori familiari, corpi imprigionati nei bassifondi di una società filmati in una lotta carnale che non conosce tregua, dall’esordio Tiempo de morir, del 1966, a La calle de la amargura, del 2015, riproposto dal festival nella sezione dedicata ai “film delle giurie”). Figlio cinematografico di Youssef Chahine, suo assistente alla regia e sceneggiatore negli anni Ottanta prima di esordire nel 1988 con Sarikat Sayfeya (Furti d’estate), Nasrallah è tornato dietro la macchina da presa con un’opera che attraversa molti generi, dove l’uno si nutre degli altri in una sovrimpressione multipla che li rende inestricabili. Era, ed è ancora nel caso di questo film, la forza del cinema egiziano nella sua età d’oro quella di coniugare le infinite trame di un romanzo popolare con gli sguardi d’autore che i numerosi grandi registi di quel periodo (gli anni Quaranta e Cinquanta) sapevano genialmente nascondere. Commedia. Musical. Melodramma. Realismo. Osservazione sociale e politica. Quel cinema ri-vive in Al Ma’ wal Khodra wal Wajh El Hassan, che ha per set la città rurale di Belqas, nel Nord dell’Egitto, trasformata da Nasrallah in luogo dell’artificio, in spazi nei quali liberare la propria creatività sia narrativa sia formale. Il regista di La porte du Soleil (2004) e Après la bataille (2012) scaraventa fin dalla prima scena lo spettatore nella vita di quella comunità e definisce, al tempo stesso, la sua strategia filmica: movimenti avvolgenti della macchina da presa, con uso sublime del dolly, al fine di costruire una danza visiva con la quale restituire il costante movimento dei personaggi tanto negli interni quanto negli esterni. È in corso una festa che raduna i personaggi dei quali poi, scena dopo scena, si conosceranno le storie e le relazioni; una festa in attesa del suo culmine, il discorso di un uomo la cui posizione sociale è stata determinata anche dai suoi rapporti con il potere ma che in quel frangente si sente a disagio. Cosa accadrà? Nasrallah interrompe lo sviluppo degli eventi e indietreggia, pur se di poco, “un mese prima”, per descrivere, con quell’andamento sontuoso che non abbandonerà mai, gli antefatti e quindi, verso la fine, ricollegarsi ai festeggiamenti mostrati all’inizio e, da lì, congegnare l’inatteso e liberatorio finale.

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Due innamorati si sono sposati segretamente in una baracca con la complicità di un amico. L’anziano titolare di una locanda (vero e proprio centro del film) organizza la ristorazione per ricevimenti. Ma il suo lavoro, appassionato e competente, potrebbe svanire di fronte agli appetiti di uomini d’affari interessati a rilevare l’area. Una donna divorziata è appena rientrata dagli Emirati Arabi Uniti. Uomini e donne si amano pubblicamente o segretamente, tra la vegetazione, accanto a un capanno, in mezzo al fieno. I personaggi spiano e sono spiati, tradiscono e sono traditi, entrano ed escono di campo fra scale, terrazze, cortili. Le finestre assumono la funzione di quadri e indicano frammenti di vita del quartiere. Il vecchio ristoratore muore e da quel momento i toni cambiano, Nasrallah elabora scene più intime e mélo; tra i personaggi, i loro corpi, e la terra e l’acqua si instaura un rapporto profondo di vita e di morte (e si pensa alla funzione diegetica della terra e dell’acqua nella storia del cinema egiziano). Qualcuno paga a caro prezzo l’amore espresso, e la volontà di non cedere ai ricatti: un giovane vie70ne attaccato da un gruppo che lo picchia, evira, abbandona nella terra, e la ragazza, impazzita, rapita e nascosta nella villa dove si tiene il banchetto. La storia si ricompone, il lungo flash back confluisce nella scena iniziale alla quale il film torna. La ronde rappresentata da Nasrallah sta volgendo al termine. L’amore trionfa sull’avidità. La donna ricca e spietata che non accetta di essere sconfitta libera uno sciame di api affinché attacchi gli ospiti. Ma la sua intenzione produce l’effetto contrario. Invece di ferire, le api aiutano i personaggi a ritrovarsi, tuffandosi nel corso d’acqua, e le coppie che non erano ancora riuscite a farlo a dirsi il reciproco amore. Con un breve carrello il film scivola dall’acqua alla terra, delle ragazze arrivano su un furgone ballando e cantando. Dietro di loro, i corpi nell’acqua. Fino alla fine, e oltre, Nasrallah costruisce immagini dotate di profondità, di molti strati, sempre plurali, dentro le quali è un piacere avventurarsi, e dalle quali non si vorrebbe mai uscire.