Fargo, città nel nulla assoluto, nel centro vuoto dell’America. Fargo, impressione bianca e rosso sangue indelebile sulla pellicola capolavoro dei fratelli Coen. Fargo, scelta da John Steinbeck, nel suo viaggio in solitaria perché “sulla piega centrale della mappa” del Nuovo Mondo. Lo racconta, insieme a tante altre osservazioni partecipanti sul mito, la Storia e il presente degli Stati Uniti, un giornalista olandese curioso, preparatissimo e capace di cogliere aspetti inediti di quel Paese, Geert Mak, che ripercorre le orme di un celebre viaggio-reportage dell’autore di Uomini e topi, ricompiendo tutte le sue tappe a sessanta anni di distanza. In libreria, in questi giorni, un libro curioso per ragionare ancora una volta, con sguardo nuovo e diagonale, su quel panorama immaginario e sostanziale che informa la nostra anima così a fondo. Qui di seguito un breve estratto da In America, la pagina (delle 600 e passa, edite in Italia da Ponte alle Grazie) dedicata a Fargo:
“Ci dirigiamo verso Fargo, nel north Dakota, città che si trova proprio sulla piega centrale della carta geografica dell’America. ci provo. È esatto, sta giusto al centro. Proprio per via della piega, su molte carte Fargo si è consumata. Forse non dovrebbe proprio esistere, forse è per questo che gli elementi continuano a congiurare contro questa città. Per Steinbeck, Fargo era un posto magico sin dall’infanzia. In una giornata gelida, era garantito che Fargo fosse la città più fredda del continente. Quando faceva caldo, nevicava o pioveva, Fargo batteva sempre tutti i record. Quanto meno nei ricordi di Steinbeck.
Steinbeck passò la notte a Frazee, circa sessanta miglia prima di Fargo, probabilmente in un punto di caricamento per i camion; un’esperienza che associò al precedente pernottamento nel paese dei tacchini. era stanco. Dopo Sauk centre aveva fatto il nostro stesso percorso, prendendo la US 71 la US 10, aveva attraversato lo stesso paesaggio di pascoli e foreste e probabilmente aveva visto gli stessi giganteschi treni per il trasporto di carbone e merci che percorrevano con urla malinconiche la pianura. ne ho visto uno con cinque locomotive e novantadue vagoni.
Nel Viaggio, Steinbeck descrive la sua immagine riflessa sul parabrezza: «Una faccia magra, grinzosa, che ricorda una mela rimasta troppo a lungo nel barile, una faccia solitaria, malata di solitudine». Il tono delle lettere a Elaine, tuttavia, è rilassato e allegro. Sta arrostendo dei würstel, scrive a Frazee, e ha avuto una giornata proficua. Si è parlato molto di politica locale, eppure Washington era molto lontana. Un uomo ha visto la sua targa e ha detto: «Si è fatto tutta quella strada da new York!» Ha passato la giornata ad ascoltare le emittenti radio locali. «Per lo più sempre la stessa musica, come da noi. Pure Apple Princess, My Baby Has Brown Eyes».
Il giorno seguente, Steinbeck si sarebbe trascinato attraverso Fargo, una città «congestionata nel traffico, infestata dai neon, fragorosa e brulicante di attività proprio come una qualsiasi altra città in espansione di quarantaseimila anime». trovò un po’ di tranquillità soltanto ad Alice, circa venticinque miglia dopo Fargo, in una stretta via secondaria sulle sponde del Maple river.
Seguiamo le sue orme, passiamo Fargo con la stessa superficialità, lungo centinaia di complessi abitativi tutti uguali, insignificanti e confortevoli, del tipo che continua a proliferare in ogni parte del mondo. e poi, dopo Fargo, improvvisamente ci si spalanca davanti il vero vuoto dell’America, gli sterminati Great Plains, il deserto di erba brunastra nel cuore del paese. Il terreno è leggermente scosceso, in qualche modo tutto ha un certo ordine, ma si vede molto di rado una fattoria o un borgo. La strada è un’unica, lunga striscia di cemento che conduce al nulla assoluto.”
da In America di Geert Mak, Ponte alle Grazie (euro 26, in libreria dal 5 febbraio)