Tra i capitoli più pregnanti di Diario di scuola, il personalissimo testo che Daniel Pennac dedica al mondo della scuola, uno squarcio di come lui, da studente e poi da docente, abbia inteso e guardato a questo strano oggetto del desiderio, uno è intitolato “Diventare” e si concentra sul significato dell’esperienza che conduce al riconoscimento di sé stessi, della persona che siamo e, nello specifico, dell’insegnante che abbiamo dentro. Un libro, peraltro, in cui si leggono cose tipo questa: «Gli insegnanti devono amare con curiosità antropologica quella tribù di alunni che ogni mattina si trovano di fronte. Tutto il male che si dice della scuola fa dimenticare il numero di bambini che ha salvato dalle tare, dai pregiudizi, dall’ottusità, dall’ignoranza, dalla stupidità, dalla cupidigia, dall’immobilità o dal fatalismo delle famiglie». E non deve meravigliare che, proprio in quel capitolo, Pennac elenchi pure una manciata di film per formare sguardo e cuore precisando che il sapere, in modo più intenso e profondo, l’imparare, è qualcosa che riguarda il “credere” (di poter essere qualcuno) e quindi l’amare (qualcosa o qualcuno).
Si potrebbe guardare a Guida pratica per insegnanti, il nuovo film di Thomas Lilti, a partire da questa attenzione, ovvero fissandosi su due direttrici: il come i personaggi protagonisti del suo racconto corale sono diventati insegnanti, quello che hanno trascorso da studenti, quali insegnanti hanno ispirato e acceso la loro vocazione (che è sempre espressione di libertà e amore), quali esperienze e quali studi hanno intrapreso per essere giunti in quel luogo dell’esistenza che è la scuola, quali relazioni coltivano e in che modo, se lo sono, fanno i genitori; il cosa sono diventati, in modo più esteso, domandandosi il senso della loro professione sempre più denigrata, impoverita, declassata, chiedendosi (come appunto ha scelto di fare Lilti) da dove traggano la motivazione a insegnare in condizioni così avverse, in un’istituzione sempre più fragile, in contesti sempre più esposti alla complessità. Secondo il regista «gli insegnanti sono i garanti di una missione universale: la trasmissione del sapere. Questa responsabilità, grande e nobile, oggi gode di scarsa considerazione. In un mondo basato sul profitto, il sapere non si vende, ma si condivide; è la base di una società. È l’idea più bella che ci sia: non si può essere privati di un sapere». Il film di Lilti (figlio di professoressa) nasce proprio dalla consapevolezza che non si smette mai di crescere e imparare, pur riconoscendo tutti i limiti della condizione di studente, per natura duplice e sospesa tra poli opposti e contrastanti: tra una imposizione e una disposizione, tra un ruolo spettatoriale e uno attoriale. Lo studente, e vale anche per l’insegnante, è un elemento “teso” (attento, “tende a”, si dirige verso un obiettivo ma pure è in tensione quando vive la sua condizione in modo conflittuale o problematica) e il continuo confronto con sé stesso e gli altri si traduce in altrettante tensioni caratterizzanti.
Dopo la trilogia dedicata alla medicina (Ippocrate, Il medico di campagna e Il primo anno), e mentre si appresta a chiudere la terza stagione della serie Hippocrate, Thomas Lilti ritorna al cinema con il racconto di un altro modo di prendersi cura dell’altro, a partire dall’esperienza di trasmissione del sapere. Guida pratica per insegnanti è sì un film corale ma, come i precedenti titoli del regista francese, ha il carattere dell’universalità perché politicamente attento a sollevare la questione dell’impegno civile attraverso un mestiere che vorrebbe e dovrebbe rendere la società se non migliore almeno più consapevole. Seguendo il solco dei film precedenti (ampiamente citati dalla presenza dei suoi attori: Vincente Lacoste, William Lebghil, Francois Cluzet, Louise Bourgoin) i suoi personaggi (Pierre, Meriem, Fouad, Sophie, Sandrine, Alix e Sofiane) costituiscono un gruppo unito di insegnanti di una scuola secondaria alle prese con l’inizio di un nuovo anno scolastico. A loro si unirà Benjamin, giovane supplente alla prima esperienza che presto si troverà a confrontarsi con le difficoltà del mestiere. Il titolo originale è Un lavoro serio e, se da una parte fa riflettere per come ultimamente sia stato affrontato in casa nostra il tema (a parte il caso di Un mondo a parte, operazioni come Arrivano i prof o La scuola più bella del mondo certificano una inconsistente distanza tra rappresentazione e senso del reale), dall’altra sembra ricordare a tutti l’importanza del ruolo (nella società) e della passione (dell’individuo) dell’essere insegnante. Il film di Lilti (non si pensi a La classe di Cantet o a La schivata di Kechiche, sarebbe un errore, piuttosto anche se di segno diverso, siamo nei paraggi di L’aula professori) con i toni della commedia agrodolce, vuole andare in questa direzione: prima che restituire un’apologia della figura dell’insegnante modello (che non esiste), si interessa a mettere in scena opportunità e contraddizioni di un mestiere (quelle dell’insegnante) e di un’istituzione (la scuola) offrendo allo spettatore l’immagine di una scuola-mondo a cui tutti apparteniamo. Guida pratica per insegnanti è anzitutto un film sull’amore per gli altri, sull’importanza di non cedere alla solitudine ma restare uniti, un film testimone di oggi come attesta il folgorante incipit costruito con immagini d’archivio. A questo proposito Lilti ha dichiarato: «La scuola fa parte delle nostre vite, da bambini, da adulti, da genitori, generazione dopo generazione. Ciascuno vi trova una madeleine proustiana che ci ricorda quanto la scuola sia centrale nelle nostre vite. Quelle poche immagini illustrano anche l’evoluzione della posizione sociale dell’insegnante: più verticale cinquanta anni fa, più orizzontale oggi. Due cose però sono immutabili: gli alunni, individui in formazione per i quali la scuola è al centro della vita, e l’impegno degli insegnanti, la cui missione è sempre la trasmissione del sapere e l’educazione alla vita di gruppo».