Per chi lo ignorasse, Braquo ha cambiato i connotati delle serie tv poliziesche francesi. Creata nel 2009 da Olivier Marchal per Canal +, si è definitivamente conclusa tra il 2016 e il 2017 con una quarta stagione finale. Al centro le imprese di un gruppo di agenti (prima quattro poi tre) del SDPJ92, il “Service départemental de police judiciaire” distaccamento del 36 Quai des Orfèvres (la questura centrale di Parigi) in quel di Nanterre, popoloso comune nella banlieue nord-ovest della capitale. Il comandante Eddie Caplan (Jean-Hughes Anglade) con il tenente Walter Morlinghem (Joseph Malerba), Roxanne Delgado (Karole Rocher) e Théo Wachevski (Nicolas Duvauchelle), quest’ultimo ucciso durante la terza stagione. Rispetto anche a produzioni che si volevano comunque distinguere dalla brodaglia poliziesca televisiva, come la gloriosa PJ di Michelle Podroznik e Frédéric Krivin degli anni 90, Braquo è perfettamente in sintonia con il cinema duro e nero di Marchal, la sua visione anche manierista della tragedia, la rappresentazione realistica della violenza certo lontana dal canone televisivo.
Qui, per intenderci, non ci sono sbirri che fanno i simpatici, declinano ricette di cucina, non si sporcano mai le mani se non per fare giardinaggio. Purtroppo, dopo la prima formidabile stagione, l’ex poliziotto regista ha litigato con Canal + (per motivi mai chiariti) e si è allontanato dalla sua creatura. Le redini delle tre stagioni successive sono state prese dal marsigliese Abdel Raouf Dafri già cosceneggiatore di Il profeta di Jacques Audiard e sceneggiatore di Nemico pubblico n.1 (Mesrine). Uno bravissimo, ma che del materiale narrativo di partenza ha voluto soprattutto approfondire la storia parallela di Vogel (Geoffroy Thiebaut), diabolico agente degli affari interni che fa della distruzione di Caplan & co. una malata ossessione. L’idea di creare un super cattivo così borderline rovina l’impostazione più frammentaria dei casi della SDPJ92, fa concentrare ogni linea narrativa su una singola caccia all’uomo, francamente un po’ sopra le righe. Ma Vogel esce di scena nella prima puntata di questa quarta stagione, che infatti si riequilibra al meglio tornando a essere “marchaliana”. Non in tutto, va detto. La tendenza di Canal + (succede anche nella seconda stagione di Baron Noir, l’House of Cards d’oltralpe) è quella di procedere con sottotrame sentimentali che vorrebbero accrescere la complessità e vanno invece incontro a un rischio “soap” (nel nostro caso il legame tra Roxanne e Nathan, il fratello segreto di Caplan) ma Abdel Raouf Dafri riesce a limitare i danni, insieme ai due registi Xavier Palud e Frédéric Jardin. E poi il valore aggiunto della S4 è lei, Marsiglia. Perché la scena si sposta da Parigi alla Provenza, sulle tracce di un mafioso turco che ha un conto in sospeso con Morlinghem dalla S3 ed è entrato in affari con la mala marsigliese del boss Joseph-Maria Petri (interpretato da Michel Sabor, il “petit soldat” di Godard). In verità è il suo vice Mandeville (Renaud Rutten) a mangiarsi la scena e a giocare con Caplan al gatto e al topo, con esiti tragici benché non del tutto imprevisti. A scatenare la lotta senza quartiere una vecchia rapina (“braquo”, da “braquage”, indica appunto la rapina a mano armata) e un “11 virgola” sulla testa di un politico di rango che fu truand, ovvero gangster, secondo uno scambio di ruoli non così inedito in una città crocevia da un secolo di traffici loschissimi. Secondo le regole del crimine marsigliese – che anche Caplan ignora, ma ha come valido Cicerone un collega, Frankeur (Pierre Laplace) – l’11 virgola è la condanna a morte, il “contratto” sulla testa di qualcuno, deriva dal calibro delle pallottole (11,43, il nostro calibro 45). Il viaggio dei flic di Braquo all’ombra di Notre Dame de la Garde è dunque salutare; per il noir in generale la “discesa” a Marsiglia si rivela una volta di più una sorta di risciacquo dei panni in Arno, dal quale ripartire con forza rinnovata.