Visitabile fino al 10 gennaio 2021, la mostra the eye, the eye and the ear di Trisha Baga allestita negli spazi dello Shed di Pirelli HangarBicocca e curata da Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, accoglie il visitatore con un’opera che è già dichiarazione di intenti e lo catapulta da subito nell’universo dell’artista: ORLANDO (2015-2020) è un testo a parete che riproduce un estratto dalla prefazione del libro Half Mile Down dello scienziato William Beebe, che avverte il lettore dei possibili difetti di stampa del volume. Baga sostituisce alla parola “book” (libro) il termine “man” (uomo) attivando un paradossale capovolgimento identitario tra essere umano e oggetto. Come per i titoli cinematografici di testa e di coda, la scritta è riprodotta invertita anche all’uscita dello spazio e ci comunica come Baga attinga a linguaggi e media differenti per trattare temi attuali e cruciali quali, in questo caso, quello dell’identità di genere. (Immagine d’apertura: Hypothetical Artifacts, 2015-2020, veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2020. Courtesy dell’artista; foto: Agostino Osio).
La mostra – prima esposizione istituzionale in Italia dell’artista statunitense di origini filippine – riunisce cinque installazioni video che indagano la relazione tra il corpo e l’evoluzione della tecnologia visiva in un percorso attraverso i media che hanno scandito la pratica di Baga (VHS, DVD, 3D), insieme a una ricca selezione di ceramiche realizzate a partire dal 2015 e a sei lavori della serie Seed Paintings (2017), composti da semi di sesamo e amaranto e da tavole di legno di diverse dimensioni. Sono gli Hypothetical Artifacts (2015-2020) ad attirare l’occhio del visitatore subito dopo l’entrata nello Shed, disposti come manufatti in un museo di storia naturale lungo quello che l’artista chiama il “corridoio geologico dell’evoluzione”: ceramiche policrome raffiguranti Poodle che sembrano sfingi, dispositivi elettronici, proiettori, e microscopi fossilizzati, sculture di icone della cultura pop al cui interno sono incastonati Amazon Alexa ancora attivabili tramite la voce del pubblico. E sono proprio queste ultime a rappresentare il raccordo con la totalità dell’universo-Baga, con i temi del digitale, dell’identità corporea e dell’iperconnessione, nonché con quel dischiudersi di finestre a schermo che assemblate da un sapiente montaggio sincopato costituiscono la cifra stilistica della produzione dell’artista.
Attinge a pellicole fantascientifiche quali Contact di Robert Zemeckis il video Mollusca & The Pelvic Floor del 2018: i nomi del cast, distorti come in una proiezione onirica, introducono il racconto di una lotta di potere tra uomo e macchina in cui Mollusca, lo pseudonimo con cui Baga chiama la sua unità domestica di intelligenza artificiale, si trasforma in dispositivo di narrazione del percorso evolutivo dei molluschi e del rapporto interspecie con l’artista stessa. 1620 (2020), realizzata appositamente per la mostra in Pirelli HangarBicocca, affonda le sue radici nella storia degli Stati Uniti, ispirandosi alla mitica Roccia di Plymouth e a “DNA USA”, programma fittizio di terapia genetica teorizzato in risposta allo studio dei malfunzionamenti radicati nella storia americana. Il punto di partenza e il fil rouge che tiene assieme le immagini è la luce dello scanner nel processo di scansione delle immagini stesse: immagini complesse, che Baga costruisce attraverso un preciso utilizzo dell’overlapping visivo e sonoro, e grazie a un congegno autocostruito inserendo il proiettore tra una telecamera e un treppiede in modo da connettere tutti i file multimediali che costituiscono le fonti di luce e gli sfondi, nonché gli scenari di illuminazione che l’artista muove contemporaneamente alla telecamera stessa durante le riprese. In un ipotetico blackout elettrico, come recupereremmo le immagini e i frame perduti che rappresentano la principale fonte di nutrimento visivo della società contemporanea? A questa domanda paiono rispondere i Seed Paintings, in cui semi di sesamo e amaranto vengono utilizzati quali metafora dei pixel digitali a riprodurre visioni sfocate di esseri umani e finestre ipermediali.
La natura performativa della ricerca di Baga risulta invece evidente nel video Madonna y el Niño (2010) in cui l’artista agisce direttamente con il suo corpo stagliandosi davanti all’obiettivo per interrompere fasci di luce e creare vuoti, manipolando la proiezione e cantando sulle note del Confessions Tour di Madonna del 2006. Musica, cinema, letteratura, costituiscono le fonti dell’estetica visiva e della complessità narrativa di Baga, ed è con una citazione dal Frankenstein di Mary W. Shelley che si apre significativamente la sua prima opera video: allestita in un soggiorno simile al set di una sitcom, There’s no “I” in Trisha (2005-2007/2020) è una serie comica in quattro stagioni in cui Baga interpreta tutti i personaggi, frammentando il suo Io per mettere in discussione gli stereotipi di genere e indagare il proprio ruolo di artista. L’ ”I” del titolo, secondo l’assonanza I (io)/eye (occhio), può dunque essere concepito come un Io-Sé, ma anche come l’occhio attraverso il quale Baga riflette su se stessa e il mondo, nella tipica narrativa frammentata che contraddistingue la sua ricerca. La decostruzione e il riassemblamento rappresentano la chiave di interpretazione dell’intera mostra, una sorta di laboratorio del Dott. Frankenstein in cui le parti del corpo sono cucite insieme da un processo di editing che avviene direttamente nella mente dello spettatore e attraverso il quale quest’ultimo può rielaborare tutte le opere nonché l’intero percorso di visita.
Sul canale YouTube di Pirelli HangarBicocca è possibile vedere l’opera There’s no “I” in Trisha (cliccare qui)