Su Disney+ The Falcon and The Winter Soldier di Malcom Spellman e la spiazzante evoluzione di Capitan America

The Falcon and The Winter Soldier non è una serie su The Falcon e The Winter Soldier. È una serie su Capitan America. Non certo sull’adorabile Steve Rogers né sul detestabile John Walker, no. È una serie sull’eredità di un simbolo. Trasmessa in streaming su Disney+, la miniserie in 6 episodi, creata da Malcom Spellman e diretta dalla brava Kari Skogland, rappresenta la necessaria evoluzione del Marvel Cinematic Universe. Ambientata dopo le vicende di Avengers: Endgame (2019), si focalizza su come il mondo stia gestendo le conseguenze della sparizione e ritorno di metà della sua popolazione in seguito allo scontro con Thanos e di come le due figure più vicine al personaggio di Capitan America affrontino un nuovo gruppo di ribelli, potenziati dal siero dei supersoldati, refrattari allo status quo e alla gestione dei cosiddetti nuovi “profughi”. La regia di Skogland è ineccepibile: dalla fine carrellata che introduce Bucky nell’episodio 1, all’inquadratura dal basso dello scudo sulle spalle di Sam che emerge (… a new Cap rises, verrebbe da dire…) nell’epilogo. Una nota sui comprimari: tanto magistrale Daniel Brühl (in ogni sua piccola e immensa microespressione) quanto inadeguata Julia Louis-Dreyfus, comica totalmente fuori posto nel ruolo della politicante cattivona (una scelta di casting, questa, al limite dell’imbarazzante: ne vedremo il senso in una auspicabile Stagione 2?). Lo sviluppo narrativo invece è impeccabile: il finale di ogni episodio è costruito per introdurre il personaggio chiave di quello successivo. Chicca dell’episodio 5: scena post titoli di coda come nella tradizione MCU.

 

 

Tradizione, eredità, simboli. Queste sono le parole chiave per comprendere la serie. Inizialmente ci si può interrogare sulla necessità di approfondire questi due personaggi: senza dubbio Il soldato d’inverno è uno dei più affascinanti ed è protagonista di una delle pellicole più riuscite di tutta la serie degli Avengers; Falcon invece ci sembra davvero un comprimario secondario, forse neanche troppo utile a colui a cui fa da spalla ma che l’ha scelto per portare avanti la sua eredità, eredità di cui Falcon non si sente degno e che ha sbigottito tutti, ma proprio tutti, al termine di Endgame (certo, non tanto quanto la morte di Tony Stark, l’unico che aveva accettato le conseguenze del gesto di Thanos rifacendosi una vita anziché spingere per l’ennesima battaglia). La scelta di Falcon come nuovo Capitan America ha lasciato spiazzati. Quasi quanto la scelta di un attore di colore per il personaggio di Tuvok in Star Trek – Voyager nel lontano 1995 (Star Trek è sempre stata una serie felicemente all’avanguardia). Perché? Perché il vulcaniano per antonomasia aveva ormai interiorizzato i tratti somatici di chi l’interpretava, il diafano Leonard Nimoy, diventato icona. Ma torniamo a Falcon: la serie si apre con il fidato amico del Cap che decide di non accettarne l’eredità e di donare l’iconico scudo in vibranio allo Smithsonian (azione vanificata dall’ottusità dei politici che pensano subito di riassegnarlo, con estremo disappunto di Bucky). Un sospiro di sollievo per tutti i fan degli Avengers e del Cap? Se Capitan America è il simbolo dell’America come può d’ora in poi essere incarnato da un uomo di colore? Ecco, è proprio su questo sottile passaggio che va a lavorare la serie. E se all’inizio tale intento si può solo intuire, nell’episodio 5 il tutto viene palesato. Isaiah – un supersoldato di colore ormai in pensione – in dialogo con Sam si chiede come un simbolo quasi filofascista possa traslare su coloro che da sempre sono stati oppressi. Dunque, il punto non è se il Cap abbia fatto bene a designare Falcon come suo erede bensì se Falcon debba accettare quello scudo, con tutto ciò che rappresenta. Abbiamo sorvolato indenni per anni sull’immagine di questo supereroe accettando passivamente il suo “political washing” e scordando che, di fatto, Capitan America più di altri è il simbolo di un paese insopportabilmente assolutista. Ed è assolutamente geniale, quanto spiazzante, la scelta iniziale di Walker come nuovo Cap, un Cap che strizza l’occhio al Patriota di The Boys e la cui genesi tradisce totalmente la macchinazione da franchise di costruzione della figura del supereroe stesso; così come corroborante di tutta l’idea che sta alla base della serie, il passaggio nella schiera dei cattivi di colei che è imparentata con il grande amore del Cap, nonché personaggio graniticamente “buono”, l’agente Carter.

 

 

Già dal terzo episodio Skogland e Spellman instillano piccoli input di riflessione sulla natura di figure di forte stampo patriottico come Capitan America. Nel quinto episodio gli autori mettono finalmente le carte in tavola: si possono scordare le croci del Ku Klux Klan mentre si difende la patria? Stelle e strisce ormai non ispirano più nulla di buono, sostiene Isaiah. Lo scudo di Capitan America è lo scudo dell’uomo bianco. Ma fare la cosa giusta non è semplice. La situazione attuale non è semplice, anzi, è estremamente sfaccettata e i politici si dimostrano sempre inadeguati nella gestione di scenari complessi, soprattutto laddove le etichette di “terroristi” e “profughi” risultano ormai inaccettabili. Quello che ci restituisce questa serie è proprio tutto ciò che mancava al superficiale Endgame: la complessità, appunto. Una complessità che si riflette nel discorso finale di Sam e nella duplicità del titolo di questa perla in sei episodi: The Falcon and The Winter Soldier, ma anche Captain America and The Winter Soldier. Questo emerge dal finale di stagione: un personaggio che per essere credibile deve necessariamente accettare la complessità; un Capitan America non potenziato ma tutto di vibranio (significativa del ricordo di Black Panther1 la nuova armatura che viene dal Wakanda); un personaggio che arriva allo scontro dopo un allenamento che ricorda quelli di Stallone nella saga di Rocky; un personaggio a cui questa serie ci ha fatto affezionare e che giunge ad accettare infine tutto il peso di un simbolo; un uomo che rappresenta l’America che tutti – soprattutto dopo l’incubo trumpiano – vorremmo vedere. Benvenuto Capitan America.

 

 

1 Sull’importanza del film Black Panther nella costruzione dell’immagine dei “black heroes” – nonché per comprendere quanto sia significativo questo nuovo Capitan America – si consiglia la lettura dell’articolo di Jamil Smith pubblicato sul TIME all’epoca dell’uscita della pellicola:
https://time.com/black-panther/