Man from Tokyo – Borat e la cerimonia d’apertura

Una bolla un po’ affollata

Avete presente Borat? Immaginatelo uzbeko e non kazako (non credo sia difficile…) toglietegli  i baffi, aggiungete una manciata di chili e di anni e vi apparirà il giornalista che  ieri mattina è entrato baldanzosamente a viso scoperto in sala colazione, ignorando il misuratore di temperatura e l’igienizzante per le mani, inseguito da una cameriera che sventolava una mascherina e lo implorava di fermarsi. Alle sue spalle un connazionale più giovane, in regola con tutto, lo ignorava con il distacco di chi è abituato a certi comportamenti. Faccia simpatica, peraltro il nostro Borat, con il quale mi capiterà di concludere la serata in un crescendo di simpatia reciproca. Ma andiamo con ordine. Ieri era soprattutto il giorno della cerimonia di inaugurazione, alla quale hanno assistito 3.500 tra giornalisti e fotografi, 900 ospiti d’onore e da 1.500 a 2.000 membri dell’organizzazione. Fonte l’organizzazione stessa, per cui risulta singolare che l’unico dato approssimativo sia proprio quello relativo ai suoi rappresentanti… Una cerimonia durata quasi quattro ore, nonostante la sfilata si sia svolta con maggiore celerità rispetto al solito, complice il numero ridotto di partecipanti: i britannici ad esempio non erano più di una ventina, mentre la truppa italiana, a Tokyo con quasi quattrocento atleti, ne presentava meno della metà. (In apertura e qui sotto le ginnaste italiane alla sfilata. Le fotografie sono fatte da loro. FORZA RAGAZZE!).

 

 

L’occasione è come sempre ghiotta per aggiornare le conoscenze geografiche. La sorpresa maggiore è stata rappresentata dalla presenza di Palau, fino a ieri per me soltanto una località nel nord della Sardegna, che invece è anche uno stato insulare nell’oceano Pacifico (sto trascrivendo da wikipedia), già protettorato americano, indipendente dal 1994, con una popolazione stimata di 21.000 abitanti. Duecentocinque le nazioni presenti, grande assente la Corea del Nord, mentre la Russia è sfilata come Roc, ovvero Comitato olimpico russo, non potendo utilizzare nome, bandiera e inno in seguito alla squalifica per il cosiddetto doping di stato. Di fatto gli atleti presenti gareggiano a titolo personale, dopo aver accettato i protocolli internazionali di controllo. La seconda della parata, dopo la Grecia che da sempre la apre, la rappresentanza dei rifugiati (Eor, acronimo di Equipe Olympique des Réfugiés) atleti costretti ad abbandonare i propri Paesi per motivi politici o più frequentemente in seguito a conflitti. Detto che il Giappone, ultimo a sfilare in quanto Paese organizzatore,  é stato preceduto da Francia e Stati Uniti, le prossime nazioni ospitanti (Parigi 2024 e Los Angeles 2028, cui seguirà Brisbane 2032, assegnazione effettuata pochi giorni fa) per la prima volta si é seguito l’ordine alfabetico locale, il che se non altro ha creato un po’ di suspance. Già perché la parata è sempre vissuta, giornalisticamente parlando, sulle reazioni del pubblico, il cui entusiasmo e a maggior ragione il dissenso regalano titoli oltre che polemiche.

 

 

Ieri ovviamente nulla di tutto questo: al massimo ci si potrebbe interrogare sulle ragioni che spingono ormai un atleta su due a sfilare a telefonino spianato: a mio avviso è un comportamento risibile, ma credo che sarebbe una battaglia di retroguardia. Iniziata alle otto locali, la cerimonia, che come sempre ha avuto il suo momento clou nell’accensione del tripode (collocato sempre più in basso e dalle forme sempre più originali) si è così conclusa intorno a mezzanotte. Impossibilitati a utilizzare i mezzi pubblici, i già citati 3.500 si sono accalcati – saremo anche in una bolla, ma é una bolla affollata – in attesa delle navette dirette al Main Press Center (molti confidenzialmente lo chiamano Mpc) dove altri mezzi dell’organizzazione ci hanno portati negli alberghi. Mentre attendevo il secondo bus, ho scambiato due parole con Borat e collega, sfruttando la circostanza di aver conosciuto per lavoro l’astista Gataullin e il ciclista Abdoujaparov, entrambi di Tashkent come i miei interlocutori, il più giovane dei quali, saputo che ero di Brescia, ha sfoderato un Robybaggio! come non sentivo da tempo. Per colpa mia siamo scesi alla fermata sbagliata, abbiamo dovuto prendere un taxi come non avremmo potuto fare, e siamo rientrati alle due e mezzo. I due non hanno però fatto una piega. Alle Olimpiadi si fa presto a diventare amici.