Tra i vivi e i morti. Con i vivi e con i morti. Dentro la baraccopoli Ciudad Oculta (nome con cui è conosciuto l’insediamento informale Villa 15 nella città autonoma di Buenos Aires), chiamata così perché prima della coppa del mondo di calcio del 1978 il sindaco di Buenos Aires Osvaldo Cacciatore fece costruire un muro di fronte a essa affinché i turisti non potessero vederla. Quel quartiere degradato è il set del magnifico terzo lungometraggio del bonaerense Francisco Bouzas (nato nel 1989) Ciudad Oculta inserito in prima mondiale nel programma della Woche der Kritik di Berlino. Girato in 4:3, aperto da una festa di tifosi e calciatori e già da una colonna sonora “infernale”, dal ritorno a casa di Iki, uno dei giocatori, e dalla sua morte, il film è un viaggio negli spazi di un quartiere dove convivono realismo e immaginazione, sogni, visioni, incubi, cromatismi alterati e realisti; è la sovrimpressione del duro sopravvivere di chi è argentino o immigrato (come il protagonista Jonás, boliviano, costantemente vessato dal poliziotto responsabile del piccolo distretto locale) e delle fughe in un mondo parallelo, quello dei morti, dove poter ancora una volta incontrare persone care; è l’intreccio inestricabile di corpi e fantasmi, qui e altrove, vita e morte che si ri-chiamano (come nella sorprendente opera prima del 2022 Anhell69 del colombiano Theo Montoya), di tracce di generi utilizzate con sapiente omogeneità: horror, fantascienza, documentario, musical. Per il ritratto di un’umanità, di giovani che si sorreggono a vicenda componendo una gang di strada, una delle tante, esplosiva, inquieta, piena di energia, traumi, disagi sociali e unita dalla musica.
Due sono le parole fondamentali i cui doppi significati sono posti in apertura di film: murga e matanza. La prima indica sia un genere musicale di strada tipico dei carnevali di Río de la Plata sia disordine, caos, libertà. La seconda si riferisce sia all’atto e effetto di uccidere sia a una danza di Río de la Plata, libera e improvvisata, che è parte dello spettacolo di una murga. Per i giovani protagonisti di Ciudad Oculta sono riferimenti imprescindibili, segno di appartenenza, che trovano ampio spazio in alcune scene che documentano questi rituali, danze di possessione, tribali, della tradizione, del folklore, del carnevale, identificate dal battito dei tamburi e dal movimento corale dei corpi (e su una bellissima danza corale in piazza si conclude il film). Un film avvolto da un senso di mistero diffuso, dal buio e dalla notte, che si sofferma su dettagli ricorrenti, come quello delle pozzanghere nei vicoli, sugli interni delle abitazioni sommersi di oggetti per scenografie kitsch di profano e religioso (vengono in mente certe sublimi descrizioni d’interni casalinghi costruite dal messicano Arturo Ripstein), mentre i personaggi, a partire da Jonás, compiono erranze nei luoghi e nella mente.
È Jonás il tramite tra i vivi e i morti, lui ha le visioni che alterano il suo presente e “spezzano” le scene, lui ha individuato, mentre era in cella, che nella stazione di polizia esiste un “portale” (“vivente” come una “cosa” ramificata, verde, pulsante, cyborg, tra vapori che la circondano) in grado di raggiungere i morti – che non si manifestano solo a Jonás, ma anche a altri personaggi. Bisogna riuscire a superare quello “stargate”. A costo di rischiare la vita (la scena splatter in cui il ragazzo viene brutalmente picchiato dal poliziotto e che poi sta per sparargli e salvato da un’amica che pugnala alla schiena l’uomo con una scimitarra facendo sgorgare sangue in primo piano). Ed è commovente l’incontro tra Jonás e alcuni amici morti, tra i quali Iki con cui dialoga sul tetto dell’edificio. Quell’altra dimensione assomiglia a “catacombe” notturne, a labirinti nei quali inoltrarsi in una esplorazione spaziale che ha un che di carpenteriano. Jonás è un messaggero dei vivi che dà ai morti doni o notizie (uno è diventato zio). Le separazioni non esistono più. Si manifestano un’intimità, un’emozione immense che portano Ciudad Oculta nel territorio del melodramma e, ancora e sempre, alla rappresentazione della murga e della matanza che tutti questi tanti elementi contengono e restituiscono frantumando le coordinate spazio-temporali.