Game over, America. L’insurrezione dei gamer

C’è un fil rouge che collega la campagna Gamergate all’insurrezione dell’estrema destra americana del 6 gennaio 2021. Il criptofascismo è definitivamente uscito dagli schermi dei videogiochi e il decennio si preannuncia ancora più turbolento del previsto.

 

L’armata di gamer e fanboy che nel 2015 ha molestato, per mesi, centinaia di sviluppatrici di videogiochi, giornaliste e critiche nell’indifferenza generale degli amministratori delle piattaforme nonché delle forze dell’ordine e successivamente confluita nell’Alt-Right, il sei gennaio duemilaventuno ha preso d’assalto il Campidoglio a Washington D.C.. Una generazione cresciuta di fronte allo schermo combattendo contro draghi, arabi e vampiri ha temporaneamente lasciato la cameretta al neon e gli scantinati di mamma-e-papà per assediare il Congresso e distruggere i simboli della democrazia. Simboli ammaccati – quelli della nazione americana, in crisi profonda dall’avvento del regime neoliberista che ha trovato in Ronald Reagan il suo supereroe. Ma pur sempre simboli. Simboli da abbattere con la stessa violenza becera promossa dai videogiochi mainstream, un medium che sul piano ideologico veicola i principi, i valori e la visione di mondo di Donald Trump, Ted Cruz, Lindsey Graham, Mitch McConnell e dell’intero establishment repubblicano. Come scriveva nel 2016 Edward Smith, “i videogiochi sostengono costantemente l’ideologia di destra, ideologia che è diventata particolarmente visibile durante la campagna elettorale delle elezioni presidenziali [del 2016]. Nei videogiochi dominano lo sciovinismo e il capitalismo. In questo senso, rappresentano il perfetto portavoce della destra americana: sono essi stessi demagogia repubblicana” (enfasi aggiunta).

 

 

I commentatori mainstream americani, come quelli italiani, arrivano tardi e capiscono poco. In un articolo intitolato The American Abyss, pubblicato sul New York Times, lo storico della Yale University, Timothy Snyder, propone una disamina dl fenomeno. Snyder sostiene che nel partito repubblicano si agitano due anime apparentemente contrapposte: il gamer e il breaker. Il primo sfrutta ogni cavillo per “fregare il sistema” ed esercitare la propria influenza nefasta. Lo storico lo descrive così:

 

Un gruppo di repubblicani si preoccupa soprattutto di aggirare il sistema per mantenere il potere, sfruttando appieno le oscurità costituzionali, il gerrymandering e il denaro oscuro per vincere le elezioni con una minoranza di elettori motivati. Non hanno alcun interesse nel crollo di quella peculiare forma di rappresentanza che permette al loro partito di minoranza un controllo sproporzionato del governo. Il più importante tra loro, Mitch McConnell, ha assecondato la menzogna di Trump senza fare commenti sulle sue conseguenze.

Per converso, il gruppo dei breaker,

Potrebbe effettivamente rompere il sistema e conquistare il potere senza la democrazia. La divisione tra questi due gruppi, i gamers e i breakers, è diventata ben visibile il 30 dicembre, quando il senatore Josh Hawley ha annunciato che avrebbe sostenuto la sfida di Trump mettendo in discussione la validità dei voti elettorali del 6 gennaio. Ted Cruz ha poi promesso il suo sostegno, insieme ad altri 10 senatori. Più di un centinaio di rappresentanti repubblicani hanno assunto la stessa posizione. Per molti, questo non pareva altro che uno spettacolo: le sfide alle votazioni elettorali degli Stati avrebbero costretto a ritardi e voti a tavolino, ma non avrebbero influito sul risultato.

 

Ma come fa notare anche Franco “Bifo” Berardi, l’analisi di Snyder non solo è superficiale, ma sballata. In primo luogo perché la differenza tra gamer e breaker è del tutto aleatoria. Nella migliore delle ipotesi, è quantitativa, non qualitativa. Si potrebbe affermare che il partito repubblicano è formato da game breakers perché il gamer è una figura intrinsecamente nichilista: venera la distruzione. Il gamer agisce in un contesto di sciame e opera secondo una logica tribale. Quando agisce come troll o griefer – il gamer fa propria la logica destruens dell’hooligan. L’orda di rivoltosi – cosplayer criptofascisti, appassionati di fantasy nordico armate di spadoni, seguaci del wrestling, LARPers libertari e seguaci di QAnon che venerano una star dei reality tv show mascherata da Presidente – si è formata sull’immaginario puerile, sessista, razzista, misogino, imperialista e neocolonialista dei videogiochi e del cinema superomista (con le sue fantasie di potere) e fantasy (Palantir… Anduril… etc), per cui: GAME, MAGE, MAGA. Gli unici a sorprendersi di quanto è accaduto sono stati i normies, da una sponda all’altra dell’Atlantico. Per chi avesse prestato la minima attenzione alla degenerazione della società americana nell’ultimo decennio, l’attacco era inevitabile. Semmai, ciò che colpisce è il numero ridotto di vittime: è stato giustamente fatto notare che una manifestazione pacifica di afroamericani nella città di qualche stato flyover avrebbe sicuramente prodotto un ben altro “punteggio”. Il fatto che diversi poliziotti fuori servizio e veterani abbiano partecipato alla presa del Campidoglio non va inoltre sottovalutata.

 

 

I normies hanno definito spesso questi squadristi dei “bontemponi”, evidenziando ancora una volta l’incapacità di cogliere la gravità della situazione: il fatto che l’immaginario di riferimento di questi terroristi siano i supereroi (The Punisher, The Avengers, Captain America), i gladiatori e i mercenari non offre alcun conforto: si tratta, non a caso, di un’iconografia criptofascista. Questa adesione rappresenta la conferma che i videogiochi sono letteralmente usciti dallo schermo. La tesi portante di Fenomenologia di Grand Theft Auto è che non esiste alcuna differenza ontologica tra Los Santos e Los Angeles, San Andreas e la California, l’immaginario videoludico e gli Stati Uniti. Grand Theft Auto è più reale degli Stati Uniti, una nazione de facto indistinguibile da un reality TV show. Date le premesse, Game Over parte dal presupposto che la realtà è un effetto dell’intrattenimento, come sostiene il filosofo di origini coreane Byung-Chul Han. Dato che l’intrattenimento videoludico celebra la supremazia bianca, il patriarcato, la violenza e la sistematica distruzione dell’ambiente, non deve stupire che l’ideologia degli insurrezionisti – cresciuti sugli schermi e radicalizzati nei forum – sia parimenti nichilista. Lungi dall’essere un’innocua sfilata di meme post-ironici in carne e ossa, l’attacco ai membri del Congresso e del Senato fa da preludio a una serie di attentati terroristici che faranno sembrare gli anni di piombo una passeggiata, se non altro perché le milizie sono molto meglio organizzate e radicate sul territorio, possono contare su un arsenale altamente distruttivo e hanno agito per anni con impunità perché ignorate – deliberatamente o meno – dalle forze dell’ordine, impegnate a prevenire un altro tipo di terrorismo, quello di matrice islamica.

 

L’estetica gamer: pistola, logo del personaggio Marvel Comics, The Punisher e le manette plastificate dell’insurrezionista nel Congresso. Foto di Radley Balko

 

Trump è una metastasi. Il troll-in-chief ha ulteriormente indebolito un corpo politico americano moribondo: è tuttavia un effetto, non la causa. In una nazione dove la corruzione è istituzionalizzata sotto forma di “donazioni” delle corporation via SuperPAC, non c’è da stupirsi che il concetto stesso di democrazia abbia perso ogni valore. Nel momento in cui un’azienda è considerata una “persona” a tutti gli effetti e il denaro libertà di espressione, è evidente che la crisi non solo è completa, ma probabilmente irreversibile. Corporate America de facto pwns l’establishment politico, il che spiega l’inerzia e l’apatia con la quale la nazione ha affrontato – o meglio, non ha affrontato – problematiche che spaziano dalla catastrofe ambientale al monopolio tecnologico di una manciata di edgelord e che oggi si pongono come unici garanti della libertà di espressione (il danno, oltre la beffa). Gli “utili idioti” che indossano i berretti rossi cresciuti con Game of Thrones e Call of Duty – una popolazione surplus che prova rancore per essere stata de facto resa ridondante da outsourcing, algoritmi e dalla completa distruzione di ogni forma di rappresentanza sindacale – sono ben felici di scendere in strada per difendere le prerogative delle élite presentate sotto forma di teorie complottistiche ispirate alle trame dei videogiochi e delle produzioni cinematografiche di serie B. Perché sorprendersi se centinaia di migliaia di americani credono in QAnon considerando che vivono in una nazione in cui il Presidente è una star dei reality show, l’assistenza sanitaria è considerata un privilegio per ricchi, studiare all’università significa indebitarsi a vita e milioni di persone soffrono di dipendenza acuta da oppioidi? Perché sorprendersi se centinaia di migliaia di americani rigettano i vaccini considerando che Big Pharma è direttamente responsabile di una catastrofe umanitaria senza precedenti? Perché meravigliarsi se migliaia di fanboy del Comic-Con idolatrano un Con-Man tragicomico? Se i terroristi nel 21c trasmettono in diretta le loro imprese criminali – dai massacri nelle sinagoghe alle insurrezioni armate – su Twitch e Dlive?

La distinzione di Snyder tra gamer e breaker è dunque fallace, come quella tra i repubblicani moderati ed estremisti. Il docente di storia della Yale University afferma che

Nei quarant’anni trascorsi dall’elezione di Ronald Reagan, i repubblicani hanno superato la tensione tra i gamer e breaker governando all’opposizione al governo, chiamando le elezioni una rivoluzione (il Tea Party) o pretendendo di opporsi alle élite. I breaker, in questo accordo, forniscono una copertura ai gamer, mettendo in campo un’ideologia che distrae dalla realtà di base che il governo sotto i repubblicani non è reso più piccolo, ma semplicemente deviato per servire una manciata di interessi.

Quando Snyder ipotizza che “i gamer, separati dai breaker potrebbero iniziare a concepire la politica come un modo per vincere le elezioni”, è completamente delusional. La stessa espressione “repubblicano moderato” è un ossimoro, una contraddizione in termini, un po’ come “gamer tollerante”. Il fatto che durante il regime trumpiano, i liberal abbiano rivalutato George W. Bush conferma che l’amnesia dei cosiddetti centristi è il sintomo di una patologia diffusa tra una popolazione che sa solo “divertirsi da morire”, per dirla con Neil Postman. I terroristi che hanno scalato i muri del Campidoglio come i personaggi di un platform game per rapire e giustiziare i politici asserragliati all’interno sono l’avanguardia (Proud Boys, Three Percenters, Oath Keepers etc.) di un movimento molto ampio e diffuso a livello sociale, che include migliaia di “insospettabili”. La logica accelerazionista che lo caratterizza trova perfetta espressione nell’immaginario videoludico da cui si alimenta, nonché degli ambienti in cui tale sottocultura si è sviluppato – da 4chan a 8kun, da discord a Gab, da Reddit ai forum online, per tacere dei social media che fungono da catalizzatori dell’odio, della disinformazione e della mercificazione del sé  – per cui le teorie complottistiche sono l’equivalente su larga scala della lore, il folklore che degenera nel culto fanatico. Tanto il gamer quanto il breaker non sono interessati ai fatti: Gamergate è il modello della post-verità che le successive campagne – da Pizzagate (culminato con l’ingresso di un gamer armato di mitra nella pizzeria Comet Ping Pong di Washington D.C.) a QAnon (un colossale ARG praticato da fanatici, come spiega Jon Glover nel saggio incluso nel volume) hanno consacrato. Non è tanto una questione di “bugie”, quanto di costante revisionismo storico e di “amnesia” istituzionalizzata. Come osserva “Bifo”, “La crisi americana nasce dal carattere costitutivamente razzista e schiavista del capitalismo e del consumismo americani, che si fondano sullo sfruttamento del lavoro a basso costo e sull’estrazione delle risorse di mezzo mondo da parte della potenza più violenta di tutti i tempi.” Questo “carattere costitutivamente razzista e schiavista del capitalismo e del consumismo”, insieme fascista e neoliberista, informa e alimenta da sempre l’immaginario videoludico.

Emersi online, negli anfratti della rete e nei bassifondi della pop culture, Gamergate (il prototipo e modello), Pizzagate e QAnon hanno causato disastri nella vita “reale”. Ne seguiranno altri.

Il vaso di Pandora è stato aperto: i videogiochi sono usciti dagli schermi.

 

 

Per approfondire: Game over. Critica della ragione videoludica  – A cura di Matteo Bittanti (Mimesis Edizioni, pag.498, euro 32) e Fenomenologia di Grand Theft Auto – A cura di Matteo Bittanti (Mimesis Edizioni, pag.352, euro 26).