Il cielo è rosso di Giuseppe Berto e l’innocenza assediata

Per ricordare i 40 anni della morte di Giuseppe Berto (1 novembre 1978) Neri Pozza ha ripubblicato il suo esordio: Il cielo è rosso (pag.430, euro 18). Berto (Il male oscuro, Anonimo veneziano, Oh, Serafina!) scrisse Il romanzo mentre era prigioniero nel campo di concentramento di Hereford, in Texas. Terminata la guerra, lo scrittore tornò nella sua Mogliano Veneto e poté sottoporre il suo lavoro a Giovanni Comisso, che si fece tramite con Longanesi che pubblicò il libro nel 1947. L’editore fu subito entusiasta dell’opera, la vicenda è nota perché Indro Montanelli era presente durante la prima lettura:”Curvo su un voluminoso manoscritto su cui teneva minacciosamente librato un paio di forbici -scrive Montanelli – senza dirmi cos’era e chi era, via via che finiva di leggere una cartella me la passava. Dopo un’ora di questo esercizio mi chiede che cosa ne pensavo. Un romanzo sulla Resistenza. Ne abbiamo tutti le scatole piene – E invece è un colpo replicò Longanesi – parli di Resistenza, ma questo giovanotto ha il vantaggio di averla descritta senza avervi mai partecipato, anzi, senza averla nemmeno vista”. Tullio, Giulia, Carla e Daniele sono quattro ragazzi che, sfollati in seguito a un bombardamento aereo nel Veneto dilaniato dalla guerra, stringono una muta alleanza basata sulla reciproca solidarietà, tentando di sopravvivere in mezzo alle macerie. Il cielo è rosso, che costituì uno dei casi più spettacolari di romanzo neorealista, si può leggere oggi anche come un poema sull’innocenza vanamente assediata ed oltraggiata dalla barbarie storica. Risulta davvero struggente percepire quanto Giuseppe Berto ami i ragazzi e come li distingua uno dall’altro e fino a che punto si identifichi in Daniele, affidandogli una residua speranza prima di farlo partire per sempre. Tullio e Giulia non ce la fanno, Carla rimane sola, ma il lettore intuisce che, in qualche maniera, hanno ugualmente vinto.  La narrazione è lenta e spesso si avverto il ronzio stilistico di una macchina da presa bloccata su un pianosequenza, la ragione di questa scelta afffonda le sue radici nel cuore del testo: gli incontri e le esperienze iniziatiche degli adolescenti di Berto alludono costantemente all’estraneità di qualunque destino, come se vivessero dentro una incubatrice e non riuscissero a nascere per davvero. Anche i soldati americani, i vecchi, i preti e tutti i personaggi di Il cielo è rosso sembrano costretti a un compito scontato, un’esistenza svogliata. Ecco perché il nocciolo del romanzo è Maria – apparizione faulkneriana – una bambina di nove anni, ritardata mentale, capace solo d’amore, che non produce alcuna dinamica narrativa e resta dentro il romanzo come un interrogativo a cui è impossibile rispondere.