La memoria e Il cinema militante: in Dvd Apollon e Contratto di Ugo Gregoretti

Contratto

Un nome e un concetto costituiscono il necessario fondamento per affrontare il complesso tema che i due film di cui ci si appresta a parlare – editati dal Centro Studi Cinematografici con la collaborazione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico – possano essere a pieno compresi e valutati nel peso e nel valore che rivestono sotto molteplici profili. Cominciamo con il nome: Ugo Gregoretti. I più giovani avranno trovato il suo nome nei libri di cinema, sentito parlare (forse) del suo lavoro, forse della sua proverbiale ironia, ma non hanno potuto vivere gli anni che hanno caratterizzato la vita artistica di questo anticipatore di sguardi, del tutto fuori tempo, disancorato da ogni moda, benché proveniente, socialmente e culturalmente e quindi anche politicamente, da un passato, all’epoca recente, carico di passioni politiche e senso di comunità che avrebbe pienamente riversato, con modalità differenti, nel suo lavoro d’autore. Portò questa originalità anche in televisione contaminando i palinsesti all’epoca ingessati con la sua satira pungente e con la sua osservazione dei costumi e delle abitudini degli italiani. Il concetto, legato anche al nome di Ugo Gregoretti è, invece, quello di cinema militante. La militanza oggi è parola in disuso e nella società liquida è in disuso comunque il concetto di appartenenza che sta a fondamento della militanza. Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso il concetto era fondante per un certo tipo di cinema. Una militanza a volte eccessiva e di rigida osservanza contaminava a volte in negativo il rapporto con le immagini. Per Gregoretti le cose stanno in maniera del tutto opposta. La sua eleganza verbale e autoriale lo portava lontano da ogni deriva politica e costituiva il principio ispiratore della sua arte e questi due film lo dimostrano bene e luminosamente. (In apertura un’immagine tratta da Contratto).

 

 

Su queste premesse riflettere su questi due preziosi e sconosciuti film diventa più agevole e attuale. Entrambi sono stati girati nell’intervallo tra il 1968 e il 1969, in quella stagione decisiva per la politica che era fatto quotidiano e diffuso e gli sconvolgimenti sociali che ne seguirono, di cui ancora oggi sentiamo l’onda lunga, come evento mai concluso e ininterrotto sono frutto di questa pratica che coinvolgeva indifferentemente i vari strati sociali. Entrambi i film nascono dall’iniziativa di un collettivo di registi e attori, tra i quali Gregoretti e Gian Maria Volonté, un soggetto politico che avrebbe realizzato anche un film sulla triste vicenda dell’anarchico Giuseppe Pinelli, ricostruendo i fatti di quel tragico 16 dicembre 1969. Il primo dei due film è Apollon: una fabbrica occupata realizzato nel 1968. Il film, accompagnato dalla voce amichevole e pacata, ma determinata nei suoi toni, di Gian Maria Volonté, è la ricostruzione dell’occupazione della Apollon, grande tipografia romana all’epoca sulla via Tiburtina nella quale le lotte sindacali per ottenere migliori condizioni di lavoro si fecero aspre. Fu all’epoca uno degli episodi di scontro più duro tra le parti sociali in un luogo d’Italia, il centro-sud, in cui i conflitti erano attenuati dalla minore incidenza industriale in quei territori. Il secondo film, Contratto è invece un lungo e appassionato diario, quasi quotidiano della difficile trattativa che governo e parti sociali, operai e industriali (definiti sbrigativamente e polemicamente padroni) avviarono nel 1969 dando vita a quel periodo della storia sociale e politica italiana che venne definito “autunno caldo”. Se con Apollon Gregoretti sperimenta e azzarda, lavorando nel difficile equilibrio tra cinema di fiction e reportage politico, vincendo la scommessa e realizzando un film che proprio per queste sue caratteristiche se non è unico, poco ci manca, con Contratto, il regista romano, vivifica le sue immagini della vita e delle speranze di quella classe operaia per troppo tempo è stata dimenticata, come scrive egli stesso, a favore della classe dei contadini che hanno invece trovato sempre grande spazio nelle riflessioni politiche e sociali, nelle teorizzazioni dottrinarie e perfino nelle opere cinematografiche. Con Contratto le lotte operaie di quegli anni trovano l’ampio respiro di una approfondita riflessione. Trovano, soprattutto, quel fondamento che serve alla loro legittimazione che si inventa anche attraverso le immagini che iconograficamente sintetizzano un intero percorso. È per queste ragioni che i due film, in parte inscindibili tra loro – e bene ha fatto il CSC a recuperarli con un’unica operazione – costituiscono non soltanto un quanto mai prezioso reperto per i più giovani e gli studiosi, ma si attestano come sconosciute strutture portanti per una storia del cinema italiano ingiustamente dimenticate.

 

 

Sull’onda di un neorealismo che qui si tinge dei toni della necessità per Apollon Gregoretti fece interpretare agli stessi operai i loro ruoli e ricostruì le tappe di quella lunga lotta che avrebbe anticipato le altre, che ben più dure ed estese si sarebbero verificate l’anno successivo. È piacevole leggere nel booklet che accompagna il DVD, qualche aneddoto nell’arguta e divertita introduzione che lo stesso regista ha scritto per l’occasione. Apollon diventa così esempio sia per la pratica del cinema militante, sia per l’estetica di quel cinema che, contrariamente a quanto possa pensarsi, fondava le basi su scelte rigorose e rispetto assoluto delle regole compositive del cinema. Non era mai cinema raffazzonato e alla buona, ma al contrario, con qualità estetiche sempre rilevanti, proprio perché realizzato su un sostrato teorico fatto proprio dagli autori intellettuali che lo realizzavano. Non sfugge quindi a questa catalogazione anche Apollon e non sfuggirà neppure il successivo Il contratto. È proprio l’apporto estetico il dato rilevante dei due film, con una particolare prevalenza per Apollon che con la sua anomala costruzione in cui il set e la vita reale si sovrappongono, in termini temporali, diventa cinema che incalza la vita in un ritmo emozionante e mai sopito nel quale sono gli stessi operai che avevano appena vissuto quegli accadimenti poco tempo prima a rivivere quelle stesse emozioni. Il film diventa quindi un esperimento politico, un reperto importante di psicologia sociale e per gli stessi protagonisti anche dispositivo di valutazione delle scelte operate nel percorso delle rivendicazioni. È così che un film nato per riaffermare una posizione politica, per dare visibilità ad un gruppo di lavoratori in difficoltà che difendevano i loro diritti, può trasformarsi non solo un pezzo di storia del cinema, ma anche in prodotto culturale che diventa oggetto di una valutazione estetica, potenzialmente utile a riaprire il dibattito sul valore e le qualità del cinema militante, quale forma di aggregazione artistica (il collettivo) e di canale informativo alternativo. Ma i due film e qui entrambi per la forza con la quale le immagini e le parole trasmettono i disagi e le speranze, la voglia di combattere e la gravità delle ingiustizie, consegnano all’oggi un’altra lezione. Restituiscono, intatti, i progressi che si erano fatti in tema di coscienza sociale e consapevolezze. La classe operaia dell’epoca non era quasi mai scolarizzata, a mala pena sapeva mettere la firma, come si dice, ma aveva un gran voglia di imparare e lo studio era la meta cui dovevano aspirare i propri figli. Questo comportava un accrescimento naturale di quella percezione della politica e della pratica della lotta attraverso tutti gli strumenti possibili e democratici (sciopero, occupazione, decisioni assembleari e relazioni con la controparte), come unica forma di negoziazione nello scontro con la parte padronale. Tutto questo oggi si è rovesciato. Lo studio sembra essere diventato quasi una perdita di tempo e la coscienza politica del movimento operaio che oggi popola le realtà industriali sopravvissute è ridotta ai minimi termini e forse il dato più grave è proprio l’assenza di quella solidarietà che costituiva l’asse portante delle lotte di quegli anni, in cui operai, studenti e intellettuali, ciascuno con le proprie differenze, contribuiva al miglioramento complessivo delle condizioni di vita. Oggi, al contrario il quadro generale è quello del “si salvi chi può”. Ecco dunque le ragioni per una lode incondizionata a chi ha permesso che questi due preziosi film siano stati resi disponibili alla visione, grazie all’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico per avere conservato le immagini, un grazie al Centro Studi Cinematografici per avere inserito un ulteriore tassello di pregevole valore utile a ricostruire una pagina immeritatamente trascurata della nostra cultura, un pezzo di storia e per rivalutare un autore come Ugo Gregoretti dotato di una genialità che oggi spesso manca e di cui si sente, invece, la necessità.

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