L’alba del linguaggio di Sverker Johansson: un affascinante viaggio nel mistero della comunicazione

Perché l‘Homo sapiens fra gli 80 e 100mila anni fa ebbe la capacità di formulare grammatiche complesse? L’operazione avvenne per una significativa riorganizzazione neurale. Ma come si è sviluppato questo processo? Come è nato il linguaggio? Cosa differenzia le lingue umane dalle forme di espressione usate dagli altri animali? E perché la nostra specie ha iniziato a parlare? A queste domande hanno cercato di rispondere filosofi, antropologi, psicologi e archeologi, ma solo negli ultimi trent’anni sono emerse le evidenze che possono farci ipotizzare a che punto della nostra evoluzione è spuntato il «primo parlante». Sverker Johansson (fisico e linguista) ha deciso di indagare scrivendo L’alba del linguaggio: Come e perché i Sapiens hanno iniziato a parlare (Ponte alle Grazie, pag. 447 euro 20).  Un saggio bellissimo, l’arte della divulgazione scientifica dispiegata in tutto il suo fascino per conoscere il desiderio/necessità dell’uomo di comunicare. Un’avventura, una sfida che Sverker Johansson spiega così:”Per capire l’origine del linguaggio dobbiamo studiare il linguaggio stesso, la sua struttura, e non solo: dobbiamo anche comprendere la natura dell’uomo e la sua storia evolutiva, la forma del suo pensiero e il funzionamento del suo cervello. A questo scopo, dobbiamo prendere in considerazione ricerche scientifiche in varie discipline: non solo la linguistica pura, ma anche – tanto per elencare le più importanti – la biologia evolutiva, la paleoantropologia, l’archeologia, la pri-matologia, la genetica, l’anatomia, l’etologia, le neuroscienze, le scienze cognitive, la psicologia e l’antropologia sociale…” Sul pianeta si parlano circa 7mila idiomi, ma “ognuno di noi ha la capacità di distinguere il suono di una lingua dal rumore ambientale di fondo. anche se non ne comprendiamo il significato e anche se l’ascoltiamo per la prima volta, un po’ come se tutti i linguaggi avessero in comune un impianto di base”, ha notato Giulia Assogna su Le Scienze,  da qui per Johansson “il progresso dovrà poggiare su una migliore conoscenza della comunicazione umana e del valore della varietà linguistica mondiale”.

 

 

Per gentile concessione di Ponte alle Grazie proponiamo un estratto da L’alba del linguaggio di Sverker Johansson.

Lo scimpanzé è un pragmatico, non bada alle cose di cui, nella nostra società, si occupano gli operatori culturali. I pochi utensili che costruisce sono conformati unicamente alla loro funzione, senza la minima concessione all’estetica. Sembra incapace di concepire l’idea di fare una cosa semplicemente perché è bella, o perché ha un valore simbolico. In cattività può imparare a dipingere, ed esiste almeno uno scimpanzé che è riuscito a vendere all’asta (in forma anonima) i propri quadri, a cifre che molti pittori umani possono solo sognare, ma non è affatto chiaro quanto valore artistico attribuisse alla sua opera (né, se è per questo, quanto gliene attribuissero i compratori). In questo, l’uomo preistorico si comportava come le altre scimmie, almeno all’inizio: i primi utensili in selce erano funzionali al loro uso, perciò le lame potevano avere qualunque forma, bastava che fossero affilate. L’australopiteco e l’Homo habilis non mostrano la minima traccia di una cultura raffinata. Non come noi, che amiamo considerarci creature culturalmente elevate.

Cultura e lingua

A un certo punto di quei due milioni di anni che ci separano dall’Homo habilis è comparsa una cultura simbolistica ed estetica. Più o meno nello stesso periodo è nata anche la lingua. Per caso le due cose sono collegate? Qual è il denominatore comune tra lingua e cultura? L’arte e la cultura ci dicono qualcosa della facoltà cognitiva di chi le ha prodotte, della sua capacità – e soprattutto della sua voglia – di comunicare. Già, perché un’espressione artistica è comunque una forma di comunicazione. Però la comunicazione è un’attività a cui si dedicano parecchie specie animali. Dunque la novità della cultura non sta nella comunicazione in sé, ma nel modo di comunicare, e soprattutto nel processo per cui l’espressione artistica viene a significare qualcosa per il suo mittente e per il suo destinatario. La cultura poggia su sistemi di simboli. È all’interno di questi sistemi che l’espressione culturale prende il suo significato. O meglio, i suoi significati. Certe espressioni culturali, come le arti figurative, hanno un soggetto più o meno palese, che è anche il loro significato. Lo può interpretare anche un fruitore che non abbia profonde conoscenze del sistema di simboli. Grazie a ciò, noi uomini moderni possiamo capire cosa volessero dire le pitture rupestri e le statuette prodotte da una cultura estinta. Ma anche all’interno delle arti figurative esistono ulteriori piani semantici che non si possono leggere basandosi soltanto sul soggetto.I sistemi simbolici della cultura la rendono rilevante ai fini di un’indagine sulla comunicazione verbale. Anche la lingua, infatti, è un sistema di simboli portatori di significato: le parole. Ognuna di esse simboleggia il proprio significato. Inoltre, anche la lingua ha diversi piani semantici. Molte parole funzionano come le arti figurative, ossia riproducono qualcosa di concreto e tangibile, che esiste nell’ambiente circostante. Di solito sono le prime che il bambino apprende. Ma anch’esse, con il loro significato apparentemente diretto, spesso hanno connotazioni che vanno al di là del loro riferimento concreto, e possono essere utilizzate metaforicamente, o ‘in senso lato’, come si suol dire. Per fare un esempio, i termini donna, signora, dama e matrona hanno lo stesso significato, e possono essere usati per parlare della stessa persona, ma le loro connotazioni, i loro simbolismi e significati secondari sono assai diversi. Una parte importante del lessico non è riferita a oggetti concreti, ed è composta da parole il cui significato non si può spiegare puntando il dito verso qualcosa. Fra esse ci sono i cosiddetti ‘sostantivi astratti’ e tutte quelle parole che ricorrono con altissima frequenza nel parlato, e che sono del tutto prive di significato autonomo al di fuori della grammatica: hanno una funzione puramente sintattica, ossia servono a legare le parti del discorso formando frasi di senso compiuto, mettendo in chiaro – per esempio – chi fa cosa con chi. Dal momento che non si riferiscono a una realtà fisica, il loro significato esiste solo all’interno di una rete di simboli verbali, e può essere spiegato solo con l’aiuto di altre parole.La capacità di elaborare simboli – e reticoli di simboli – è perciò un presupposto per la lingua. Ne consegue che i reperti archeologici che dimostrano un’elaborazione di simboli dimostrano anche che il cervello di chi li ha prodotti era sulla buona strada per essere in grado di gestire una lingua. Anche le scimmie sono capaci di stabilire collegamenti diretti fra un simbolo e il suo significato, ma non di costruire un’intera rete semantica. Quella è una facoltà unicamente umana. La usiamo sia nell’arte, sia nella lingua, perciò le origini dell’arte possono dirci qualcosa sulle origini della lingua. Ai fini della nostra ricerca, l’arte presenta un grandissimo vantaggio rispetto alla lingua: non è archeologicamente invisibile.