Le ferite persistenti: Collegio Chartwell, il lucido memoir di Glenn Head

Glenn è un adolescente turbolento come lo sono tanti suoi coetanei negli anni ’70. La sua condotta fa tuttavia preoccupare i genitori, che decidono di spedirlo al collegio Chartwell, un istituto che si vende come scuola in stile inglese, gestito da un preside profondamente ambiguo, il signor Lynch. Glenn e i suoi amici sono sottoposti a un regime educativo che mischia nella maniera più morbosa una disciplina rigorosa con un affetto e una confidenza eccessivi che non tardano a trasformarsi in abusi psicologici e sessuali. Il ragazzo cresce e abbandona il collegio Chartwell, ma quel periodo non lo abbandona mai e i traumi che ha riportato lo accompagnano nella sua vita adulta condizionando il suo rapporto con la famiglia, anche dopo che il signor Lynch fa i conti con la giustizia. Il tratto distintivo di Collegio Chartwell (Coconino Press, pag. 248, euro 23), il memoir di Glenn Head è la profonda lucidità con cui l’autore tratta la vicenda, evitando accuratamente la spettacolarizzazione a buon mercato alla ricerca di facili reazioni di pancia da parte dei lettori. Non c’è un solo punto in tutto il volume in cui l’autore carichi gli eventi di emotività o di tensione se non è strettamente necessario. Sarebbe poi stato facile buttarla sul sensazionalismo, una vicenda del genere si presta e il fatto che chi la narra l’abbia subita in prima persona giustificherebbe almeno in parte l’indulgere in tal senso ma Glenn Head no, rifiuta persino di lasciare che il periodo del collegio, con il rapporto malato con il signor Lynch, si prendano tutto lo spazio del racconto.

 

 

L’esperienza di Chartwell è solo una parte della vicenda e serve a gettare le basi per lo sviluppo dell’intera trama, costruita intorno alla lunga, difficile e dolorosa elaborazione di traumi profondi che portano l’autore e protagonista ad affrontare i propri istinti di autodistruzione. Glenn lascia parlare i fatti nudi e crudi, messi lì di fronte al lettore senza alcun artificio ma anche privi di mediazioni, in tutto il loro impatto devastante o meno che sia, a seconda della sensibilità di chi la storia la riceve. Il ragazzo è da solo a leccarsi le ferite, non può mai contare del tutto sulla sua famiglia che il trauma riesce ad elaborarlo ancor meno in quanto impastato di sensi di colpa, e quando può lo rimuove anche solo non parlandone. Graficamente, Collegio Chartwell si rifà alla tradizione dell’underground americano, illustrando la vicenda con un tratto cartoonesco à la Peter Bagge asciugato della verve umoristica del creatore di Odio, con tavole dense di neri pieni che trasmettono la pesantezza dello stato mentale di Glenn con una ferma discrezione, presenti ma non pesanti. Il volume è uno di quei fumetti disarmanti, quasi carveriani nella scelta di una narrazione spartana che deve il suo potere proprio a una sobrietà che rinuncia a virtuosismi registici in favore di una linearità che non lascia al lettore spazi per nascondersi se non quello di chiudere il volume per un attimo e, come la madre del protagonista, per un attimo pensare ad altro. Glenn Head è un uomo pacificato che però non dimentica e, soprattutto, non riconosce grandi attenuanti a genitori che, pur non colpevolizzati oltremisura, non vengono certo assolti né sollevati dalla responsabilità di una scelta che ha compromesso la vita del loro figlio nei decenni a venire. E questa, in definitiva, è una scelta in pieno accordo con un mondo, quello rappresentato in Collegio Chartwell, in cui non sei mai completamente al sicuro, nemmeno con le persone su cui dovresti poter fare affidamento e che, dopo averti aperto ferite destinate a restare per tutta la vita, si preoccupano di come uscirne tutto sommato puliti.