Le stelle? Fori dei proiettili di Dio…Ecco il nuovo incredibile e disturbante album di John Murry

“Gli angeli volano perché si prendono alla leggera”
Jean Cocteau

«Ho comprato del fertilizzante e liquido per i freni/Di chi diavolo dovrei fidarmi?/La compassione finisce nelle camere a gas/Oklahoma City avrebbe dovuto essere sufficiente…». Come la sequenza di un film. Vivido, evocativo e disturbante. Comincia così The Stars Are God’s Bullet Holes, nuovo magnifico album del cantautore americano di origine (Tupelo, Mississippi), trapiantato in Irlanda, John Murry. Sono i primi versi di Oscar Wilde Came Here to Make Fun of You, primo pezzo dell’album. È uno dei tanti omaggi letterari contenuti nel disco, oltre a Wilde: Di Kreutser Sonata (scritto con la S al posto della Z) rimanda a Tolstoj (e a Beethoven), Perfume & Decay fa pensare a Emile M. Cioran, dal quale era preso il titolo dell’album precedente di John, A Short History of Decay. Suggestioni letterarie, poetiche e filosofiche reinventate, agitate non mescolate, musicate e distorte (sperimentazioni sonore pazzesche) à la Murry. L’autore del Mississippi mette subito a fuoco immagini e toni provocatori e destabilizzanti. Una melodia quasi pop (canticchia anche un lieto ritornello nonsense «Toottoo-Toottoo-Tooo-Toorootootoo…», insieme alla voce dolce e femminile di Nadine Khouri, che fa da backing vocals) su un testo a tratti tragicomico, buffo e assurdo. Come in I Refuse to Believe – You Could Love Me troveremo poi costanti e falso-allegri coretti pop «Uoh oh oh Uoh oh oh oh…».Oscar Wilde diventa una sorta di alter ego del musicista fuori dal tempo, che si fa beffe della cultura della violenza in cui viviamo ora, «vestendo bene e giocando a Bridge…». In questo senso il videoclip del singolo – diretto dall’attore irlandese Aidan Gillen (Littlefinger di Trono di Spade) – è un notevole quadro di alterità e sguardo allucinato sull’oggi con un mood di un’altra epoca. Un pupazzetto vestito da dandy Wilde è lo specchio immobile e in miniatura del musicista travestito da Wilde stesso che canta versi beffardi sulla realtà contemporanea e, emblematicamente, muove e gioca con una lampadina presente nella stanza e tenta di far luce.

 

 

 

È uscito finalmente The Stars Are God’s Bullet Holes, posticipato dalla pandemia, terzo album di Murry. Arriva grazie all’etichetta indipendente Submarine Cat Records (https://johnmurry.tmstor.es) ed è prodotto musicalmente da John Parish (produttore di PJ Harvey, Eels, Sparklehorse…). Estroso, bizzarro, geniale, Murry è uno degli artisti rock ‘n’ roll contemporanei più malinconici e illuminanti. Viene dagli USA, ma ha un animo – oltre che una residenza – irlandese. Ha vissuto mille vite e mille morti. Una madre biologica Cherokee (è stato adottato prima ancora di nascere), la famiglia adottiva parente diretta di William Faulkner. Il primo album solista – The Graceless Age (2012) – era interamente dedicato alle sue dipendenze dalle droghe. Il secondo – A Short History of Decay (2017) – allo sfaldamento della famiglia e al divorzio dalla ex moglie (per inciso, sta per risposarsi, auguri, John!). Questo terzo disco è una sorta di concept album sull’assurda epoca in cui viviamo. Parte – nella title track – osservando le stelle e cadrà nelle follie, nelle debolezze e in varie fragilità umane (Oscar Wilde Came Here to Make Fun of You, Di Kreutser Sonata, I Refuse to Believe – You Could Love Me, Time & a Rifle). La presenza di Dio e del diavolo, del Paradiso e dell’inferno, di Cristo e crocifissioni, sono una costante di varie tracce di questo gioiello musicale, bislacco e unico.
«Ho paura dell’inferno, ma anche del paradiso» canta nella bellissima, cupa e iperautobiografica Yer Little Black Book e puntualizza: «questa è la mia storia, questa è la mia canzone/ho questuato per il perdono troppo a lungo/c’eri quando hanno crocifisso l’idea?/quanto grande sia la tua arte lo decide il critico…». Probabilmente Murry potrebbe scrivere pezzi squisitamente pop e hit clamorose (si riascolti, ad esempio, la ballata del primo album Little Coloured Balloons). Preferisce continuare a solcare un’arte musicale scura e oscura, esistenzialista, surreale e solo a volte indecifrabile. E gliene siamo estremamente grati. Come spesso accade nei suoi lavori, c’è anche una cover di musica altrui. Stavolta è Ordinary World dei Duran Duran che quasi si fatica a riconoscere perfino melodicamente non fosse per il ritornello…
Grazie, John!

Le fotografie sono di Rob Blackham.

 

Qui il concerto in streaming di presentazione dell’album.