Il confine tra Messico e Stati Uniti è una ferita infetta, uno squarcio in suppurazione che vomita rabbia, violenza e disperazione, talvolta sottoforma di orrori indicibili. Tante storie si diramano dal dramma dell’Immaculada, il fantasma di una donna morta insieme alla famiglia mentre cercava di raggiungere gli USA affidandosi a un coyote, uno dei corrieri che ogni giorno fanno passare esseri umani da un punto all’altro di una barriera tracciata nell’inconscio prima ancora che fra due territori. Dopo la sua morte la Immaculada torna alla vita come un fantasma la cui rabbia causa strani eventi e spinge le persone verso la violenza. Puerprere che partoriscono mostri, giustizieri devoti alla Vergine Maria e artiste performative che preparano uno spettacolo che darà voce alla loro furia sono solo alcuni degli effetti nefasti della sofferenza della Immaculada, una vittima come tante della tratta dei disperati nell’era di Trump. Coyote Songs (Zona 42, pag.224, euro 16,90) di Gabino Iglesias, è un romanzo corale che riunisce diverse linee narrative che seguono un filone politico, oltre che stilistico, comune. L’idea è di raccontare attraverso la speculative fiction la realtà dei migranti che dal Messico partono per viaggi della speranza al cui termine non sono certi di arrivare vivi per attraversare clandestinamente il confine con gli Stati Uniti nella speranza di costruirsi un futuro migliore. Le storie di Iglesias raccontano i soprusi, le prevaricazioni e la sofferenza che sopportano gli ultimi, quelli che attraversano il deserto a piedi per non essere nemmeno sicuri di trovarlo, quello che cercano, in una società con un forte problema di razzismo che non li vuole ma che al tempo stesso rappresenta la loro unica opzione praticabile. (In apertura una immagine del deserto di Sonora).

La cifra è quella del nichilismo, dove i deboli vengono schiacciati e nemmeno la violenza è una soluzione così semplice come appare, perché chiama altra violenza e alla fine sono i deboli, ancora una volta, a cadere nella polvere come danni collaterali. Non c’è redenzione in Coyote Songs, la speranza è solo parte della tragedia e la rabbia ribolle fino a esplodere anche se spesso lo fa a vuoto, senza portare a nessun apprezzabile riscatto. Stilisticamente, la scrittura di Iglesias è cruda e immaginifica, non si risparmia dettagli visivi forti pur senza perdersi in descrizioni eccessivamente lunghe o compiaciute che andrebbero a nuocere a un ritmo ben dosato che distribuisce scene dure nei momenti giusti alternando le vicende dei protagonisti che si distribuiscono su più capitoli mantenendo alta la tensione e la voglia di proseguire nella lettura. Una scelta interessante a livello di traduzione è quella di lasciare in spagnolo alcune parti del testo per mantenere il feeling dello spanglish parlato sul confine USA – Messico per mantenere il peso che la lingua ha nella fusione tra due culture geograficamente contigue i cui attriti non sembrano trovare soluzione nonostante la vicinanza perché, in un’epoca in cui la forbice di ricchezza e qualità della vita fra diverse classi sociali torna ad allargarsi in maniera vertiginosa, a volte parlarsi non basta più, ogni forma di solidarietà viene meno e gli esseri umani, sempre più atomizzati, cannibalizzano gli altri esseri umani e si attaccano a quel poco, sempre meno, che un capitalismo in via di decomposizione offre loro.