Narrazione opprimente ad alta densità: Un corpo smembrato, il fumetto di Samuele Canestrari e Luigi Filippelli

Marina è costretta a tornare al suo paese d’origine, nella provincia profonda, lasciandosi alle spalle il sogno di vivere e prosperare come artista nella grande città. Non smette di scolpire, anzi, occupa il tempo libero tra i turni in cassa al supermercato lavorando come un’ossessa nel suo laboratorio. Ma quel dolore al braccio. La sensazione di star perdendo un tassello fondamentale che la definisce. E la possibilità di decorare la rotonda del paese con una delle sue creazioni, frutto più degli agganci di suo padre che non del riconoscimento del suo reale talento. Il segno grafico di Canestrari, non soltanto in termini di stile ma proprio l’impronta del passaggio dei suoi strumenti da disegno sul foglio, ci riporta al grado zero del fumetto in quanto narrazione disegnata. E nel volume Un corpo smembrato (Eris Edizioni, pag.125, euro 16) realizzato su testi di un altro talento interessante che risponde al nome di Luigi Filippelli, il lettore si rende conto, più che capendolo razionalmente percependolo a livello sensoriale, di quanto il disegno non sia solo una funzione della sceneggiatura ma sia la fornace in cui vengono cotti i mattoni su cui si va a poggiare l’architettura del fumetto nel suo senso più autentico. Canestrari dice di non esserne un estimatore, ma il suo segno ricorda molto da vicino Pupi Avati, quella cupezza opprimente cresciuta in pieno sole, una luce spietata, quella della campagna, da cui non è possibile nascondersi e che ci riporta alla piena fragilità dell’essere scoperti, esposti alle nostre debolezze.

 

 

Ed è questa la trappola in cui si trova Marina, l’impossibilità di esistere seguendo i suoi desideri che la sgretola piano piano, come il sole di ferragosto che sbriciola la terra dei campi. La staticità delle tavole è solo apparente, la tensione è tutta nelle figure e nella moltitudine dei segni pesanti, materici, che danno vita a un ecosistema fatto di una sovrabbondanza di detriti grafici che caricano le vignette di peso e di sostanza. Il che rende ancora più palpabile il senso d’incompletezza dato dalla presenza continua di disegni abbozzati, non finiti, fondali scarni che danno corpo alla tensione continua verso una realizzazione impossibile. La scrittura di Filippelli completa il cerchio con un’esplorazione criptica dell’interiorità, un modo di dire le cose senza comunicare in maniera chiara e lineare, optando di seguire le curve, le aporie e i sospesi che rendono reale la resa di una psiche tormentata che si disgrega un frammento per volta. Per quanto il paragone sia abusato, alcuni passaggi della narrazione ricordano la capacità di David Lynch di raccontare ciò che sta prima, dopo, intorno al razionale, ciò che di per certo logico non è trasmettendo sensazioni che vanno ricevute molto prima che elaborate. La storia di Un corpo smembrato è fedele al proprio titolo, presentata in frammenti agli occhi del lettore chiamato ad orientarsi ricomponendo più a sentimento che seguendo un progetto ben preciso. D’altronde nemmeno l’editore ha seguito un progetto nel senso canonico nel realizzare un volume irregolare fin dalla copertina, fisicamente separata dal corpo del libro pur non essendo una coperta, in grado al bisogno di trasformarsi in un poster lasciando nel frattempo esposti i fili e la colla della rilegatura, proprio come la psiche definitivamente condannata a non essere mai completa di Marina si ritrova esposta agli elementi di un ecosistema che trascende l’ambientazione in senso strettamente narrativo.