Oscuro ma non troppo: Il Batman camp di Adam West è tornato sugli schermi italiani

“Infantili e fuori di testa”. Fu in questo modo che William Dozier, il produttore della serie TV Batman, andata in onda negli Stati Uniti dal 1966 al 1968, definì i fumetti da cui furono tratte le avventure dei Batman e Robin televisivi. E non aveva tutti i torti. All’epoca, la DC Comics era un prodotto marcatamente per i giovanissimi, più dell’eterna concorrente Marvel Comics che, sotto la guida di Stan Lee, puntava maggiormente su una caratterizzazione dei personaggi in grado di rivelarsi trasversale, e dare il via a un modo di fare fumetti in grado di interessare il pubblico di tutte le età. Quanto a follia, le storie di Batman (ma non soltanto le sue), negli anni ’60 presero una svolta surreale, a volte sconclusionata, molto spesso delirante. Il vigilante cupo e spietato creato da Bob Kane e Bill Finger lasciò il posto a un eroe più colorato alle prese con nemici assurdi in situazioni spesso al limite del farsesco.Nonostante la definizione non proprio lusinghiera di Dozier, questo fu lo stampo usato per creare una serie TV (riproposta da Rai4) fra le più iconiche di sempre, un esperimento ai limiti dello psichedelico, e talvolta pure oltre, ormai entrato a far parte in pianta stabile dell’inconscio collettivo. La percezione del pubblico è divisa. Esiste il Batman cupo e violento più vicino alle origini, ed esiste il Batman reso immortale dall’interpretazione di Adam West. La serie è ricca di elementi memorabili presi singolarmente, come la scena del Bat Repellente Anti Squalo (usato dallo stesso West nel lungometraggio nato per capitalizzare il successo della serie) per liberarsi di uno squalo visibilmente posticcio che lo tormentava durante una traversata in elicottero, a tutta una serie di momenti ricorrenti durante le puntate, veri e propri tormentoni che si riproponevano episodio dopo episodio, attesi come si aspetta la visita di un vecchio amico. Per esempio, la scalata di un muro verticale che avveniva praticamente in ogni episodio, con Batman e Robin che scalavano una parete con la corda. Peccato che Adam West e Burt Ward, gli attori che li interpretavano, camminassero in orizzontale con i mantelli inamidati per simulare la forza di gravità, o le classiche scazzottate con le onomatopee come Bam! Pow! Bang!” che comparivano in sovraimpressione. Il climax di ogni episodio era il momento che vedeva Batman e Robin legati a una trappola mortale sul punto di attivarsi, tipico cliffhanger che invogliava lo spettatore a vedere l’episodio successivo.

 

 

Notevole anche la galleria dei nemici di Batman, tutti estremamente sopra le righe, in aperto contrasto con il rigore granitico della loro nemesi. A rivederla oggi, Batman è un’operazione nostalgia divertente nella sua completa assurdità, con quel contrasto fra la seriosità ingessata di West e Ward e la bizzarria spesso ridicola di tutto quello che succedeva loro intorno. Una certa ripetitività di fondo non manca, il che rende la serie non propriamente adatta per le classiche maratone che vanno di moda oggi, ma non era questo lo scopo di chi la produsse. L’obiettivo era quello di dare al pubblico uno svago rassicurante, con routine riconoscibili che ti strappavano sempre una risata spensierata. Ed è per questo che la serie va presa così, in piccole dosi, un paio di episodi alla volta, che tra l’altro sono brevi, circa 25 minuti l’uno, e soprattutto senza alcuna seriosità. A tutt’oggi, un punto di vista diverso, a modo suo dissacrante e vagamente sovversivo, su un personaggio che, anche con modalità differenti e distanti dalla sua interpretazione più canonica, riesce a imprimersi profondamente nell’inconscio dei fan generazione dopo generazione.